Henry Dunant veniva dalla Svizzera. Era capitato sui campi di San Martino e Solferino per incontrare l’Imperatore dei francesi Napoleone III. Era in svolgimento la Seconda Guerra d’Indipendenza con i Piemontesi e i Francesi contro l’Austria. Dunant era un agente di cambio finito in Algeria dove aveva idee imprenditoriali. Voleva partecipare alla modernizzazione di quei posti, favorendo un’agricoltura più moderna, e perciò aveva costituito una Società dei mulini. Servivano anche questi in quelle terre che erano territorio francese. Intendeva strappare delle concessioni da Napoleone. Aveva un’educazione religiosa, avviato dalla madre secondo i principi protestanti ad uno spirito filantropico. Da giovane visitava ammalati e carcerati e si trovava tra coetanei a leggere la Bibbia. In quel momento aveva in testa gli affari.
La sera del 24 giugno da Castiglione delle Stiviere aveva sentito il rombo dei cannoni e visto truppe in movimento. La mattina presto era sulla strada che porta a Solferino e quel che vide fu qualcosa di straziante. Incontrò convogli di gente ferita, esausta, uomini insanguinati, zoppicanti che procedevano a fatica, chi con un bastone chi sostenuto dal commilitone. A migliaia sfilavano, in brandelli di uniformi, di nazionalità e insegne diverse, volti sfatti e sporchi, infelici inebetiti o urlanti, prigionieri ammassati sui carri. La campagna era disseminata di feriti che gemevano, materiale abbandonato, cavalli che tentavano di rialzarsi, e poi i cadaveri in tutte le pose. Non arrivò a Solferino, nell’epicentro della battaglia ma quella visione gli bastò e rimase incancellabile.
Il 24 giugno 1859 c’era stato lo scontro terribile in cui erano stati impegnati più di trecentomila uomini. La battaglia che regalò al Piemonte la Lombardia si svolse nel raggio di venti chilometri ma con due punti nevralgici: attorno alla Rocca di Solferino dove lo scontro fu tra i francesi di Napoleone e gli austriaci dell’imperatore Francesco Giuseppe; in località San Martino più vicino al Garda l’urto delle forze multietniche austriache fu sostenuto dai Piemontesi di Vittorio Emanuele II. Si concluse la sera con la vittoria dei franco-piemontesi. Due anni dopo con l’impresa di Garibaldi in Sicilia si sarebbe costituito il Regno d’Italia.
Dunant non incontrò più Napoleone. Rimase a Castiglione. Aiutò chi si era improvvisato soccorritore, preti, gentildonne, gente del luogo, popolane, oltre a qualche medico e infermiere. Raccolse morenti, scrisse per loro le ultime parole da consegnare ai famigliari, confortò chi perdeva speranza, si diede da fare per cercare bende e medicinali. Uscì da quell’esperienza con il proposito di rivelare al mondo la verità atroce dei campi di battaglia. Scrisse le memorie di quei giorni, Un ricordo di Solferino. Si fece apostolo itinerante: quanti uomini si sarebbero salvati se ci fosse stato modo di medicarli, assisterli? Non solo dotato di immaginazione aveva una mentalità organizzativa. Coinvolse nella sua crociata persone importanti e facoltose. Nacque l’idea di una struttura umanitaria che operasse sui campi di battaglia al di sopra delle parti, un’organizzazione di soccorso fatta di medici, infermieri, barellieri, con mezzi idonei di intervento e di trasporto, con il benestare dei governanti. Nacque la Croce Rossa a Ginevra nel 1863. Il simbolo fu la bandiera svizzera con i colori invertiti.
Dunant non ottenne nulla per la sua società in Algeria, anzi fallì come imprenditore. Finì emarginato all’interno della stessa organizzazione che aveva contribuito a creare. Sparì dalla scena, visse a Parigi in miseria e povertà. Un giornalista lo ritrovò e raccontò delle sue condizioni. Partì per lui in tutta Europa una catena di solidarietà. Il papa gli scrisse, la zarina gli assegnò una pensione e nel 1901 gli fu dato il Nobel. Tutto ciò addolcì gli ultimi anni della sua vita.
Così mi ha raccontato il pensionato volontario a guardia del Museo della Rocca di Solferino, camionista ma con un debole per la storia. “Bisogna continuare a parlare di questi fatti e di queste persone. Abbiamo bisogno della storia e di non fermarci a quello che vediamo e sentiamo.” E mi ha parlato della fiaccolata di ogni anno, a fine giugno: “E’ una camminata di 8 chilometri lungo i campi teatro di quel massacro, da Solferino a Castiglione delle Stiviere. Vengono da tutto il mondo. La piazza di Solferino è gremita di colori e di cori. Si parte dal Monumento Internazionale della Croce rossa. Il monumento è appena sotto la Rocca”. E salutandomi mi ha mostrato una maglia rossa in vetrina: “si ricordi! non c’è solo il rosso magenta, c’è anche il rosso solferino”
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