Il nostro girovagare per Monza inizia dal Santuario Santa Maria delle Grazie (1467) tenuto dai Francescani e posto là dove il Lambro esce dal Parco di Monza. Un pescatore, piantate le canne e sistemata la sua sedia tra gli arbusti spogli, si mette in paziente attesa. Inoltrandoci in città ci imbattiamo nella Chiesa di San Gerardo al Corpo dalla monumentale cupola (architetto Giacomo Moraglia, 1836). Gerardo (1134-1207), patrono di Monza, è qui sepolto. Visse nel tempo della lotta tra i Comuni lombardi e l’imperatore Barbarossa. Faceva parte dell’ordine dei tintori; si dedicò all’assistenza dei malati fondando l’Ospedale.
Ritroviamo il Lambro e lo superiamo al Ponte dei leoni, la via per Lecco e per il Tirolo. Pochi passi e siamo all’Arengario, la sede del Comune medievale a pochi passi dal Duomo. Qui re e imperatori passavano a ricevere la conferma della loro Signoria con l’incoronazione della Corona ferrea. Incominciò la Regina Teodolinda e terminò Napoleone che se la impose lui stesso dicendo “Dio me l’ha data guai a chi la tocca”. La bella sorpresa è la facciata del Duomo finalmente liberata dopo il lungo restauro. Nonostante la giornata velata si sente un nuovo respiro. Quelle vivaci strisce nero-blu rendono leggera e festosa la costruzione. Mettono voglia ai bambini di correre e di spostarsi da un punto all’altro della piazza.
La sensazione, entrando, potrebbe paragonarsi a quella del tifoso che vede per la prima volta lo Stadio Bernabeu di Madrid. La differenza è che questo è stato fatto in tre anni, per il Duomo di Monza c’è voluto più di un millennio. Si sente la solennità di un luogo per le occasioni importanti. La luce passa dal rosone e crea un gioco di chiaroscuro tra centro, fondo, altare e navate laterali. Viene da fermarsi, comporsi, pensare o pregare, poi guardare e ammirare. Il colore d’insieme di affreschi e vetrate, soffitto e pavimento, ha l’effetto di un grande tappeto persiano. L’occhio si muove tra figure e sculture, cerca di indovinare figure o scene. Impossibile trovare spazi vuoti. Si tocca con mano la “barocca paura” del vuoto.
Si passa da una cappella all’altra, quella di Giovanni il Battista cui la Chiesa è dedicata, quella dell’Angelo custode, poi la Madonna del Rosario, fino all’altare maggiore realizzato da Andrea Appiani e alla Cappella del Sacro Chiodo. La leggenda narra che da uno dei chiodi della Crocifissione fu tratta la Corona ferrea. A lato il bel sarcofago della Regina Teodolinda.
Imboccato l’angolo della Piazza si raggiunge presto l’edificio dei Musei Civici, a meno che, come noi, non si vuol interpellare un passante e venir dirottati – sarà per la poca chiarezza di quel plurale “Musei” – su altra rotta. Ci ritroviamo in pieno mercato lungo il corso principale, Corso Italia – quello che porta a Milano – con gente che entra ed esce con borse e pacchetti, chiacchierando o spingendo una bicicletta, e passiamo più facilmente tra i tavolini di un caffè, superando chi è in fila davanti al tabaccaio o alla pasticceria. Siamo in Piazza Trento e Trieste. Al centro, il possente Monumento ai Caduti si erge sopra i tendaggi delle bancherelle, “l’Ondata d’assalto guidato dalla Vittoria alata”.
Ci interessa visitare l’estemporanea mostra sul Re Umberto e la Regina Margherita, che a Monza amavano tornare e risiedere. Almeno fino alla sera del 29 luglio 1900, la sera dell’attentato. Fatto lo spuntino ripartiamo dal Lambro, vicino alla Stazione. Lo seguiamo finché si separa in due, Lambro e Lambretto, per rivedere la Villa Reale. Di nuovo chiusa! La Regina non aveva più voluto tornare dopo l’uccisione del Re. Nel 2014 era stata riaperta con grandi aspettative ed eventi. Presto sono sorte divergenze tra la Società concessionaria e il Comune. Alla sinistra della fontana c’è il Roseto, più di 574 specie, con gli infiniti romantici nomi. Torneremo a maggio a girovagare per Monza.
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