Confucio sapeva adattare il proprio temperamento all’interlocutore che aveva di fronte. Infatti, a corte, quando parlava con i consiglieri di rango inferiore, era rilassato e affabile, quando invece doveva confrontarsi con consiglieri di rango superiore, era franco ma rispettoso. E alla presenza del sovrano, sebbene fosse pieno di riverenza e timore, era perfettamente composto. (Analects, 10: 2).
Lo spirito dei riti è l’ineffabile, non può essere espresso in parole come per le leggi, e, quindi, è diverso dalle regole prescritte. La loro pratica richiede impegno poiché ogni occasione è diversa, e diverse sono le circostanze. Ad esempio, quando Confucio si trovava all’interno del tempio del duca di Zhou, “faceva domande su tutto”; conosceva le procedure del sacrificio, eppure si avvicinava ai riti come se li stesse compiendo per la prima volta. “Fare domande – diceva – è la corretta pratica dei riti” (Analects, 3:15).
Oltre ad essere fondamentale l’educazione ai riti, è importante anche una corretta educazione nelle Odi che rappresentano la più antica raccolta di poesia cinese. Le Odi “possono dare allo spirito un’esortazione, alla mente occhi più acuti”, disse Confucio. “Possono renderci più adatti a un gruppo e più articolati quando esprimiamo un reclamo” (Analects, 17:9). Il grande maestro un giorno disse a suo figlio: “Se non impari le Odi, non sarai in grado di parlare” (Analects, 16:13).
Confucio faceva il paragone con il leggendario imperatore saggio Shun (circa 23° secolo a.C.) che si raccomandava con i genitori di insegnare ai bambini la poesia, di lasciare che le poesie diventassero la loro voce. Anche Confucio sperava che le Odi diventassero il discorso di suo figlio, perché tali espressioni sono sempre appropriate e quindi “non devieranno mai dal sentiero” (Analects, 2:2). La sua Ode preferita era una poesia d’amore chiamata Guanju. La poesia recita: “Con le arpe le portiamo compagnia” e “con campane e tamburi le facciamo delizia“. In merito alle sensazioni che questa poesia trasmette, Confucio disse: “C’è gioia ma non pensieri immodesti, dolore ma non autolesionismo” (Analects, 3:20).