Mi è sembrato attuale anche se bisogna tornare indietro di cinquant’anni. In Italia sarebbe arrivato il divorzio. Si chiudeva un Concilio di aperture dove si discuteva di rapporti prematrimoniali. Con l’Enciclica di Paolo VI Humanae vitae le aspettative finirono in delusioni. Oggi si discute di tutt’altro.
Il film (1960) si basa sul romanzo omonimo di Vitaliano Brancati. Alla sceneggiatura collaborò Pasolini. Il protagonista (Marcello Mastroianni) non è un omosessuale, o gay che dir si voglia. Il bell’Antonio non ha simpatie particolari nell’ambito del proprio sesso. Ha semplicemente difficoltà nel rapportarsi con le donne. Al cugino spiega che lui a Roma le donne le aveva frequentate senza grande trasporto, salvo una: “Uscendo da quella casa barcollavo di felicità”. Con le donne non si sentiva nell’irruenza del maschio che inorgogliva il padre, lui che preferì mostrare di che taglia era anche nella morte. Non lo diceva forse anche il Codice civile letto durante la cerimonia? “Il marito è il capo della famiglia, la moglie segue la condizione civile di lui, obbligata ad accompagnarlo ovunque creda opportuno fissare la residenza” (art.144).
Esultano perciò, tirando più che un sospiro di sollievo, padre e madre alla decisione del figlio di sposare la figlia del notaio Puglisi, bella, onesta e soprattutto ricca. Dopo gli accordi finanziari la solenne celebrazione sotto gli sguardi compiaciuti e pettegoli di Catania intera. Solo che dopo qualche mese l’idillio si spegne, qualcosa si incrina nel rapporto tra i due finché esplode lo scandalo. Lo dice il consuocero Puglisi all’allibito padre Magnano: “Mia figlia è tale e quale come uscì di casa. Intatta!” La conseguenza è che il matrimonio è nullo, come non fatto, “rato e non consumato” come precisa lo zio prete, “perché per la Chiesa” spiega all’adirato capofamiglia “il matrimonio è un sacramento i cui officianti sono gli sposi, caro una sanguis unum, spirito e carne insieme. Diversamente non è valido”. Parole ripetute pari pari da Barbara, la giovane moglie, in un altro altrettanto drammatico colloquio con Antonio: “Come è possibile? Dov’è il bene che mi volevi?” E poi: “Il matrimonio non esiste. Me l’ha spiegato l’arcivescovo!”. Dimostrandosi priva di volontà propria, a cui la Cardinale non fa fede.
Così ragionava la Chiesa che annullava il vincolo matrimoniale secondo il Codice di Diritto Canonico, per una procedura che passava da Roma, dalla Sacra Rota, il tribunale ecclesiastico. Nullo il matrimonio religiosamente era nullo civilmente, nella vecchia concezione di una Chiesa in competizione e al di sopra dello Stato. Una strada, si diceva, facilmente percorribile dai vip, vale a dire da chi ha soldi.
Con un mondo cambiato – i giovani se ne andavano per loro conto – nel 1970 sarebbe arrivata la Legge Baslini-Fortuna sul divorzio. La Chiesa ufficialmente cercò di tener duro, fino a negare pubblicamente la “comunione” a notori concubini. Dietro la tenda del confessionale però le maglie si stavano allentando. Da una visione di diritto si passava ad una visione pastorale, di maggior attenzione alla persona, prendendo atto di un nuovo modo di vivere la famiglia e i rapporti uomo-donna.
Brancati pubblicò il romanzo nel 1949. La storia era collocata in pieno regime fascista. Oltre che politica era una satira della società. “A proposito del Porco che ci governa, è vero”, chiede lo zio di Roma al nipote, “che ha un’ulcera allo stomaco?” e aggiungeva: “ieri al caffè ho sentito un ufficiale di marina che diceva a bassa voce al collega: siamo a cavallo, è cancro non ulcera!” Poi la considerazione: “D’altro canto se muore lui che succede? chi prende il potere? I quattro ladri che gli stanno attorno? Si ammazzano a vicenda nella spartizione del bottino. I comunisti che stanno in carcere? Sarebbero peggio dei fascisti. Perché questi perlomeno sono dei cialtroni e le bestialità che hanno in testa le fanno male, mentre quelli sono onesti e rigorosi e le bestialità le fanno bene”.
Del regista Mauro Bolognini cosa dire? È un maestro. Il film è costruito bene, convincente, con sequenze rimaste celebri. Bolognini sposta il tempo in avanti, in anni di boom economico. Si lascia guidare da Pasolini come per altri film. Il padre (Pierre Brasseur), ex gerarca fascista, autoritario più di facciata con il figlio, ha l’onore da difendere; la madre (Rina Morelli), in ombra ma sempre presente, affettuosa e anche subdola, religiosa con il proprio confessore e i suoi santini, per il bene del figlio e il decoro della famiglia.
Pasolini aveva vissuto una sessualità travagliata a Casarsa, tra pregiudizi e credenze che per lui dovevano essere state un macigno. La sua presenza si percepisce nel dramma che lacera Antonio, solo, incompreso, tradito. La sequenza di lui che si guarda allo specchio, più che vuoto dell’anima è solitudine dell’uomo che non trova interlocutori credibili. Scoprendo l’uno, il film di Bolognini, ho letto l’altro, il romanzo di Brancati.