All’improvviso il cielo si è fatto cupo e quella nuvola grigiastra, che pareva isolata e passeggera, in poco tempo si è ingrossata al punto da oscurare lo specchio di cielo che, dai Canti di Fuipiano, si estende sino al Monte Poren, dove spicca la caratteristica chiesa di San Piro con il suo campaniletto.
Al primo inaspettato rombo, secco e violento, ne hanno fatto seguito molti altri, e poi ancora, e il riverbero del fragore dei tuoni da una valletta all’altra ne ha amplificato enormemente gli effetti, scuotendo la vita di persone e animali in questo piccolo spazio delle Orobie, elettrizzando il confronto tra terra e cielo. Non si vedono fulmini, solo fragorosi e assordanti tuoni, tali da provocare preoccupazione e sentimenti controversi di attrazione e paura nei confronti di un fenomeno naturale così dirompente: è evidente l’invito alle persone a non esporsi inutilmente, sotto l’impeto e il mistero di una natura selvaggia e rimbombante.
Ho appena ultimato il riordino della lettiera nella stalla delle vacche e, sull’èra antistante, i primi goccioloni si spiaccicano, pesanti e rumorosi, sul piano di bitume, disegnando all’inizio curiose geometrie, ma, facendosi sempre più fitti, in poco tempo hanno bagnato tutto lo spazio antistante alla stalla e al fienile. I tafani si appiccicano sulle gambe e pungono: fanno male e accettano persino di essere schiacciati, pur di non mollare la presa sanguigna. Essi si fanno sentire, di norma, l’estate, con i temporali, anzi li precedono e, soprattutto durante le giornate afose, preannunciano il sopraggiungere di una bufera meteorologica. Seduto sopra la nuvola più consistente e compatta, Zeus, signore del cielo e del tuono, pare divertirsi, comunicando a suo modo con i contadini di monte in questo particolare periodo dell’anno, così intensamente impegnati nella raccolta delle messi. Si prende gioco di noi. Penso, ad esempio, a Melchiorre, il quale, sfidando anche le avverse previsioni meteorologiche, ieri ha tagliato un pezzo di prato alla Roncaglia e in questo momento starà sudando sette camicie nel prato, a terà ensèma ol so fé, per fàgola al temporàl!…
La valle è divisa in due zone e il versante opposto, in direzione dei villaggi di Valsecca, Costa e Roncola, è tuttora illuminato dal sole. Ol temporàl e l’gìra, è vero, ma ho la sensazione che questa volta risparmi quelle contrade, per concentrare la sua carica di acqua e frastuono sui territori che stanno attorno al Sécol, coinvolgendo le contrade di monte tra l’Alta Valle Imagna, la Valsassina orientale e la Valle Taleggio. In realtà la perturbazione era destinata ad estendersi ben oltre le mie ottimistiche previsioni. La mamma lo diceva sempre, quando era ancora attiva matrona nel prato sö ai Calf e disponeva in prima persona, come un generale in battaglia, le cose da fare e i compiti di ciascuno: – Stì aténc, tosài, che l’aqua dol Sécol l’è söbet sà!…
Francesco ha anticipato la chiusura in stalla del gregge di pecore massesi in mungitura, prima del violento scroscio d’acqua, ma già nel pascolo, allarmate dall’imminenza di un grave temporale, quegli ovini dalle corna arcuate e il vello nero si erano radunati, ammucchiandosi gli uni vicini agli altri, sino a formare un’unica e compatta barriera difensiva. L’altro gregge, quello non in mungitura, sempre di pecore massesi, isolate in un pascolo più distante, si è spaventato: le pecore hanno divelto la recinzione e sono scappate, rifugiandosi nel bosco soprastante. In serata provvederemo al loro recupero.
Seduto sotto il portico del fienile, mentre con una mano impugno la penna e con l’altra allontano i tafani che insistono ad attaccarmi sulle gambe, dialogo con il temporale in corso: lo sto ad ascoltare, lo osservo con attenzione, cerco di interpretare i suoi comportamenti, lo interrogo mentre si scatena con le sue bombe d’acqua e grandine concentrate in alcune zone della montagna, dove l’aria si materializza, cambia improvvisamente colore, con tonalità che vanno dal grigio scuro al giallo tempesta, formando pareti verticali di acqua sospesa e impetuosa. Zeus scatena attacchi violenti qua e là, ma sinora ha risparmiato la zona dove mi trovo, forse per darmi il tempo di concludere questa riflessione solitaria e dimostrarmi così tutta la sua potenza. In questo momento, il versante che si sviluppa lungo lo spartiacque che va dal Sécol al Baghìna è sotto assedio e da Recüdì vedo lungo quella linea topografica un muro minaccioso di tempesta che ricopre violentemente tutta la superficie sottostante.
Col binocolo osservo in continuazione, dalla mia posizione privilegiata di sentinella, le radure a prato e le stalle immerse nei boschi circostanti e, in prossimità de villaggi, le chiese con le rispettive torri campanarie, le contrade e le diverse infrastrutture rurali di monte (terrazzamenti colturali, case sparse, tribuline, strade,…). Ula, il cane pastore di Francesco, ancora poco allenato a curare da solo il gregge di pecore, ha paura, è particolarmente disturbato dal fragore dei tuoni e si è accovacciato dal lato opposto del mio tavolino, in cerca di protezione. Nel prato, oltre il portico, una colonia di bianche margherite dal lungo stelo pare rinascere: fiori rinvigoriti dall’acqua piovana, dopo una giornata di calura estiva. Il vento accarezza la distesa di prato antistante e i lunghi steli d’erba matura, dalla sommità indorata come quella del grano, sventolano a bandiera, cantando in silenzio l’inno della rinascita, in attesa che la lama della motofalciatrice porti a compimento il loro ciclo naturale. Il sottostante boschetto composto da una trentina di larici dall’alto fusto è continuamente sbattuto anch’esso dal vento: la parte sommitale di quelle piante è sbattuta di qua e di là e si piega in continuazione su sé stessa, come tergicristallo sulla valle.
Mentre all’inizio del temporale i tuoni erano marcati e potenti, ben distinguibili l’uno dall’altro, e l’area interessata dall’attacco pareva rimanere circoscritta, ora tutto il cielo si è incupito e dalle nuvole è un continuo rumoreggiare, come un unico grande lamento del cielo che borbotta. Si ode, da lontano, il suono delle campane della parrocchiale di San Simù, parzialmente coperto da quel frastuono e dal tintinnio della pioggia che batte sulla copertura della lamiera della concimaia. Il suono di quelle campane, appena percettibile e talmente lontano, come fosse affogato nell’acqua, pare provenire dall’Oltretomba. Il temporale in montagna, fenomeno affascinante e maestoso, ci riporta alle origini e costituisce un implicito invito al raccoglimento e alla preghiera. È il prudenziale atteggiamento appreso dalla nonna quando, ancora bambino, mi invitava a recitare Pater, Ave e Gloria,ma anche alcuni Requiem (invocando l’aiuto dei cari defunti), per fronteggiare i temporali più violenti: pacatamente mi raccontava che i tuoni non erano altro che le invocazioni disperate delle anime condannate al Purgatorio, desiderose di salire in Paradiso, mentre ogni goccia di pioggia era una lacrima delle persone che abitano negli Inferi, condannate e impedite nel raggiungimento della pienezza divina. I morti si fanno sempre sentire, nel bene e nel male. Per la nonna il mondo naturale era intriso di significati soprannaturali, che richiamavano in continuazione l’Aldilà, la distinzione netta tra la sfera del bene e quella del male, tra l’Inferno e il Paradiso, tra la vita terrena e quella che continua oltre la morte, anzi le anime dei morti, nella completa visione del mondo dei nostri anziani, continuano a transitare nel mondo dei viventi sulla terra e di frequente tornano a farsi sentire. Quel fanciullo, ancora innocente, che si stava affacciando alla vita, protetto nella grande famiglia del Tata, aveva davanti a sé un mondo tutto da scoprire e non poteva capire quella antica saggezza espressa dalla nonna: attendeva solo che cessasse il temporale per andare a lömàghe, cercandole lungo i muri di sostegno delle caalìre oppure delle sée , fò en dol prat; l’indomani, poi, e per alcuni giorni successivi, sarebbero riapparsi anche i funghi nelle selve castanili e ai margini del prato, sulla linea del “bagnoasciuga” con il bosco, e nei pascoli allora ben tenuti.
I miei pensieri volano, come il temporale, che si fa sempre più lontano e ora si è trasferito al di là del Resegone, da dove provengono ancora rumori e appaiono colori minacciosi. Quassù, intanto, nel cielo sopra il Sécol, ma anche qui, sopra San Piro, si è aperto un grosso squarcio e le nuvole nere hanno ceduto il passo a quelle bianche, illuminate dal sole, che riaffiora, tranquillizza e riprende a riscaldare uomini e animali. L’aria si è fatta nitida, trasparente: pioggia e vento hanno spazzato via le impurità sospese e ora mi pare persino di avere a portata di mano non solo quello di Corna Imagna, bensì tutti i campanili dell’Alta Valle Imagna, in quell’anfiteatro naturale della valle che mi avvolge e tanto mi coinvolge… San Simù, Locadèl, Föppià,Brömà, San Gotàrd, Röda, Alsèca, Saiàcom,…sembrano essere qui, a due passi, anzi quasi quasi li tocco con la mano. E li accarezzo col pensiero. Dalle vallette si alzano nuvole di vapore acqueo, risalgono velocemente i versanti e si disperdono nei prati e nei boschi delle dorsali interne, che tornano improvvisamente ad assumere quelle intense tonalità di verdi, che nessun pittore sarà mai in grado di riprodurre. Meraviglie del Creato. L’ambiente circostante emana un intenso e fragrante odore di pioggia e di natura, piacevole e carico di nostalgia: respiro profondamente quell’aria fresca, sino a gonfiare ripetutamente i polmoni. La vorrei raccogliere e conservare, per poter rivivere istanti piacevoli. Respiro profumo intenso di margherite e di erba di prato, di muschio e di vite, di terra e di rose, di nontiscordardimè e di funghi, di felci e altre erbe selvatiche. Nel bosco, poi, l’intensità degli odori aumenta, passando dalla faggeta alla selva castanile, dal ceduo misto al frutteto… La natura rinnova i suoi profumi dopo il temporale, che si ripresentano freschi, immediati e carichi di mistero, tali da fare invidia anche ai migliori profumieri.
Ora il temporale è molto lontano, ma sta peregrinando ancora e si odono rumori, come quelli del rombo del cannone, sempre più lontani. Speriamo che non faccia più ritorno questa sera. Il fronte del cattivo tempo si è spostato altrove. Pure io depongo la penna e ritorno agli impegni della stalla. Mi aspettano le tre manzette, in libertà nel pascolo dei Calf, per il nostro consueto incontro serale, ghiotte di ricevere la loro razione quotidiana di pane raffermo… Gabi, invece, la vecchia vacca gravida e a fine carriera, è in alpeggio al pascolo del Fughì, poiché le sue condizioni fisiche le impediscono di risalire, come ha sempre fatto negli anni precedenti, il ripido pendio a pascolo dei Calf. Saluto Francesco, che tra poco salirà nella stalla per la mungitura serale, le pecore massesi, le vacche grigio-alpine e anche Omar, l’amico da poco sopraggiunto per ritirare una ricotta di pecora ancora calda…
POST SCRIPTUM
Purtroppo il temporale è ritornato sui suoi passi, o ne è sopraggiunto un secondo ancora più potente e questa volta anche devastante, col suo carico di pioggia, vento e tempesta. Non ha risparmiato il dolce promontorio di Recüdì, dove, sino a tre ore fa, ero di sentinella con questa penna tra le mani: dal villaggio di San Simù, dove mi trovo ora, osservo a distanza il versante ricoperto da un velo biancastro di ghiaccio. La tempesta, con tutta la sua potenza distruttiva, ha colpito soprattutto la fascia che, da San Piro, discende verso Recüdì, proseguendo poi in direzione di Càtaiòch e Saiàcom, per raggiungere infine la zona di fondovalle, alla Felìsa. La tempèsta l’à tredàt sö töt ol pràt e, della moltitudine dei filamenti d’erba, sono rimasti solo gli steli, senza più la “pietanza” vera e propria, ossia il bel frutto sommitale dorato. È stata una serata impegnativa e, come sempre succede, ricca di imprevisti, sempre da fronteggiare senza indugio. Chi lavora in montagna non conosce cosa sia l’ozio e deve stare pronto per affrontare ogni evenienza. Come se non bastasse, dopo il recupero del gregge di pecore al pascolo, spaventato dalla furia della tempesta e fuggito dal recinto, ieri sera Kate ha dato alla luce una bella e sana vitellina, figlia di Marchino, il toro da rimonta della stalla. Il suo nome? Gela, perché nata sotto l’attacco della tempesta…