Impugno la penna per raccontare le stagioni della vita, collegare il presente col passato, fare memoria delle cose che sono state e non ci sono più, partecipare direttamente e in modo consapevole alle diverse situazioni nel momento in cui si manifestano e coinvolgono la sfera del pensiero razionale e quella emotivo-sensoriale. Osservo gli ambienti umani e i fenomeni naturali e sociali che li caratterizzano e riempiono di significati le azioni di uomini e animali. Nel comportamento degli esseri viventi cerco il senso della loro e della mia esistenza.
Racconto il tempo del fieno e quello del cantiere edile, del lavoro e della festa, del cibo e della fatica per procurarselo, storie di bergamini e boscaioli, di muratori e contadini e il tempo nel quale gli uomini vorrebbero realizzare tanti progetti e che non basta mai, nemmeno per riempire il contenitore della vita quotidiana di un solo giorno. Uomini e donne che hanno dedicato la loro vita al lavoro, alla famiglia, alla contrada, e oggi sospirano l’infanzia perduta, alla quale si aggrappano ricordando i momenti felici di quando potevano lavorare. Molti di essi hanno vissuto sfidando la morte, come se la loro esistenza non avesse mai una fine, da immortali. Sprezzanti nei confronti di fatiche e sacrifici, malattie e pericoli.
Il tempo registra le cose che accadono, si materializzano e costituiscono il grande orologio della vita. Con esse ci confrontiamo tutti i giorni, poiché segnano il passo della nostra esistenza. Le idee e i pensieri passano silenziosi e il più delle volte addirittura inosservati, se non si trasformano in azioni concrete destinate ad essere consegnate alla storia, poiché la storia non è ciò che si avrebbe voluto fare, ma ciò che si è fatto.
La storia ha bisogno di opere per esistere, un po’ come la fede, mentre il tempo a disposizione di ciascuna persona non è altro che il prodotto di percezioni mutevoli, che nelle diverse fasi della vita, lo presentano illimitato, soprattutto durante l’infanzia e la prima adolescenza, oppure drammaticamente breve, come il soffio di una folata di vento improvvisa, che gli anziani il più delle volte fanno fatica ad affrontare, con alle spalle una vita di affanni…
Qualche giorno fa, seduto al tavolo dei commensali nell’Antica Locanda Roncaglia – un ambiente magico dove il tempo pare si sieda anch’esso a dialogare – mi sono incontrato con diversi amici del Centro Studi Valle Imagna, alcuni dei quali cofondatori del sodalizio valligiano, nato ormai circa trenta anni or sono con l’obiettivo di costruire un progetto culturale di ampio respiro per la valle. Tre decenni sono tanti, costituiscono la parte centrale e maggiormente produttiva della vita di una persona, sono stati un concentrato di ricerche, iniziative, pubblicazioni, attività di animazione, relazioni umane e ambientali che hanno contrassegnato l’esistenza di molte persone e accompagnato i principali cambiamenti della valle.
Eppure sembra ieri e trent’anni sono percepiti come un istante e Alessandro, accompagnato da Simonetta e Camilla, alla ricerca dell’identità della Valle Imagna, mi sembra di averlo incontrato la prima volta solo poche ore fa, mentre con Costantino, nell’autunno del 1990, mi addentravo tra le contrade di pietra per ricomporre tasselli di conoscenza apparentemente perduti. Attorno al grande tavolo ci sono anche Giorgio e Angelo, amici di antico corso, assieme ad altri carissimi soci del Centro Studi, incontrati più avanti e aggregati al gruppo eterogeneo di pensiero e azione.
Culliamo e onoriamo la memoria di coloro che sono passati alla vita ultraterrena, mentre una nota celata di rimpianto è rivolta a quanti hanno intrapreso altri percorsi o frainteso il nostro operato. Le parole, bagnate dal vino, e la fame non solo di conoscenza, acquietata dai piatti succulenti preparati da Roby, hanno alimentato sogni di ieri e speranze di oggi; abbiamo brindato a progetti felicemente conclusi, cercando poi di introdurre nuova linfa vitale nelle diverse azioni in essere, non senza la grinta di sempre, anche se, con l’avanzare dell’età anagrafica, il tempo sembra essere meno clemente e il sogno viene ormai regolarmente distratto da diversi problemi contingenti e da numerosi impegni quotidiani.
Il tempo è il grande archivio di deposito della memoria: non butta via niente, ma incasella, colloca nello spazio, sedimenta in continuazione esperienze, vissuti personali e vicende collettive. Mentre sul piano dei sentimenti personali trent’anni sono percepiti come fossero un solo giorno, quando scomponiamo la memoria, per ricostruire le fasi salienti che hanno caratterizzato la vita dell’associazione, si aprono improvvisamente un’infinità di cassetti nei quali sono stati conservati progetti e iniziative culturali che paiono incredibili, investimenti e azioni di sviluppo che si rivelano veri e propri miracoli, mentre poco più o poco meno di due centinaia di edizioni hanno segnato l’ambito d’interesse per indagini che hanno imparato a navigare nei diversi mari della conoscenza.
Paragono il Centro Studi a un porto di mare, un luogo fisico, ma anche un ambito di pensiero non necessariamente definito, dove c’è un continuo viavai di persone e si viene a contatto con molta gente di diversa provenienza.
Il Centro Studi Valle Imagna è nato trent’anni fa dalle prime azioni volontaristiche del drappello di audaci precursori delle nuove istanze culturali: si è trattato di un grande atto di amore per la valle, la storia sociale delle sue popolazioni il particolar ambiente plasmato da esperienze insediative millenarie. La spontaneità organizzativa e la spinta vitale al cambiamento, per la difesa dell’ambiente umano della montagna orobica, hanno suggellato una singolare e imprevedibile alleanza culturale, che negli anni è cresciuta sino a raggiungere oggi la sua maturità.
Uno dei miracoli di tempi moderni. Chi l’avrebbe mai pensato, trent’anni fa, quando anche le principali istituzioni comunitarie, alle quali se chiedeva trasparenza adamantina, disdegnavano tanto interesse nei confronti della difesa dell’edilizia rurale di tradizione? Quel drappello iniziale, i cui componenti provenivano dai diversi settori della società civile, ha agito quale laboratorio di pensiero, ambito di incontro, spazio privilegiato per l’elaborazione di nuove prospettive di sviluppo.
Quando racconto il tempo che passa, mi fermo per qualche istante e guardo indietro, cercando di cogliere soprattutto i particolari più significativi dei vissuti personali e collettivi al centro dei miei interessi, quelli cioè che costituiscono altrettanti salvacondotti per raggiungere direttamente il cuore dell’esperienza. Osservo e indago le tappe dei percorsi avviati e conclusi, per cogliere le contraddizioni e le speranze della vita presente. Sì, in questi anni abbiamo avuto fretta di crescere, macinando iniziative, ma come avviene anche nella vita fisiologica delle persone, i primi trent’anni sono quelli animati dagli entusiasmi giovanili e dall’impostazione delle scelte principali.
Abbiamo applicato, in modo naturale, quasi senza accorgercene, il mito del lavoro alla produzione di cultura, quali impavidi stacanovisti, sacrificando all’interesse collettivo diverse aspirazioni personali. Ora, nell’età adulta, è giunto il tempo della pausa e del ripensamento: il Centro Studi s’interroga circa i significati della sua esistenza, verifica la rotta culturale, rivede le coordinate spaziali della propria collocazione nella società, mette a fuoco nuovi elementi organizzativi e gli indirizzi di ricerca. Si apre la discussione circa la forma organizzativa, per il passaggio da associazione a fondazione, pur senza rinunciare alla propria base partecipativa, e si richiama la necessità di favorire il traghettamento della direzione verso giovani forze, meglio in grado di interpretare i nuovi e veloci cambiamenti della società.
Senza contraddizioni non c’è vita e vivacizzare una sorta di dinamismo interno serve per mettersi in discussione e rigenerare lo spirito e la storia del sodalizio, recuperando nuove energie e ritemprando quelle già esistenti. Per guardare sempre avanti…