Nei lunghi giorni dei mesi scorsi quando tutti eravamo costretti nella nostra casa, uno dei passatempi più frequentati era la lettura. Si ripresero in mano volumi che magari da tempo avevamo sugli scaffali ma che erano rimasti trascurati nell’angolo più appartato delle nostre case. In particolare, un’attenzione marcata venne data ai testi letterari che approfondivano il tema della peste. Ci accostammo, pertanto, ad autori quali Tucidide, Boccaccio, Manzoni, Camus a livello generale; a livello locale si riscoprì il testo di J. Peter Jacobsen autore di un racconto dal titolo oltremodo significativo “La peste a Bergamo“. Un’altra pubblicazione, ripresa anche sui quotidiani locali, è la descrizione di Lorenzo Ghiradelli: “Il memorando contagio della peste del 1630″.
Gli strumenti moderni di comunicazione telematica, inoltre, sono in grado di offrire – ovviamente a chi è provetto nell’utilizzare a percorrere le sue vie –occasioni preziose, difficili da trovare in altrui e più consueti contesti. Recentemente, per esempio, anche con l’aiuto di persone più abili a scovare documenti storici di periodi passati, sono venuto a conoscenza di una dissertazione inaugurale per ottenere la laurea in medicina nell’I.R. Università di Pavia svolta nel gennaio del 1837. Questa tesi di laurea era stata redatta da un bergamasco, Paolo Rossignoli, con questo titolo: “Del Cholera (sic) osservato in Bergamo”.
L’argomento mi ha subito interessato a cominciare dalla pagina di presentazione che ci fa sapere che di questa malattia fu “spettatore qual medico secondario prima all’Ospedale di S .Giorgio, poi a quello del seminario”. La dissertazione inizia con una nota significativa: “di tutte le città lombarde, Bergamo è quella che fu colta prima dal Cholera Asiatico e che ne fu a lungo dilaniata … si mantenne e si dilatò per lo spazio quasi di un anno seminando morte tra una popolazione robusta, vivace, industriosa e laboriossisima. Il ramo d’industria e di commercio che prospera più di ogni altro, e che è fonte precipuo della ricchezza del paese è il setificio per cui ha dirette relazioni colle principali città d’Europa. Merita attenzione una altra notizia: “una circostanza molto rilevante per caso nostro si è che alla città di Bergamo appartengono i facchini detti con nome proprio Camalli che servono nel porto di Genova. Questo fatto è tanto antico che a Bergamo havvi una contrada detta dei Genovesi perciocché in essa hanno domicilio molte famiglie a cui spettano gli individui che stanno a Genova per l’indicato officio. Tale contrada, o piuttosto viottolo comunica con quella di S. Bernardino, nella quale occorsero i primi casi di Cholera e si mantenne costantemente il morbo.”
Aggiungeva: “La violenza del caso e più ancora la novità dei sintomi, e l’oscurità della cagione tenne in forse i medici intorno alla natura del male, perciocché quantunque il Cholera avesse poc’anzi inferocito e non fosse tuttavia spento a Genova, ed in altri luoghi del Piemonte, ed andasse inoltre infestando città venete, nondimeno la distanza di Bergamo dai luoghi fino ad allora contaminati… sembrava dovere escludere il sospetto che si trattasse di Cholera Asiatico”. Ma “frattanto il morbo si diffuse”. Per assistere ai malati di colera a Bergamo si decise così di costruire un ospedale apposito in S. Giorgio “luogo centrale ai borghi nei quali era maggiore il numero dei casi”.
“Il primo manifestarsi del Cholera fu nel giorno 26 novembre 1835. Un certo Giuseppe Radaelli Sartore domiciliato nella contrada di S. Bernardino ne fu colto senza causa ben nota, e fu morto in poche ore”. Nell’anno successivo: “Il maggior numero dei casi quotidiani fu di 35, e questi occorsero nel mese di luglio nel quale il calore dell’atmosfera fu più elevato e persistente…nella stagione calda… la malattia si allargò nel Distretto di Bergamo ed in tutta la provincia”. Da medico competente, poi, elenca i sintomi del morbo evidenziando come il decorso della malattia si presenta “effettivamente in tre stadi… quello d’invasione, l’algido, la reazione”. Il decorso era, molte volte rapido con una situazione che si aggravava coinvolgendo tutte le parti del corpo ma, soprattutto, stomaco ed intestini. Lo studio definiva algido la fase più grave a cui seguiva la morte o, meno frequentemente, la reazione. Non mancava la parte finale dedicata alle indicazioni per le cure.
Tra l’altro non mancano annotazione circa le cause scatenanti: “Io pertanto avviso che la causa eccitante sia un germe specifico che si svolge dagli ammalati forse non sempre né in tutti ma in alcuni soltanto che più gravemente sono colti dalla malattia, e forse anco in alcune particolari condizioni di tempo e di luogo”. A questo proposito affermava: “E’ evidente come la classe dei poveri debba essere più facilmente disposta… essendoché i poveri, forse dovunque, e certamente in Bergamo dopo una settimana di penuria si danno facilmente agli eccessi nei giorni festivi”. Infatti “il maggior numero dei casi si è costantemente verificato nei giorni successivi alle feste… A queste congerie di cause predisponenti se ne aggiunge un’altra che è ugualmente l’appannaggio della miseria, e consiste nella malsania e nella angustia degli abituri, per gli effluvi che si svolgono e si adunano a danno dell’esercizio fisiologico”.
Ma sicuramente, tra le informazioni più significative, il dato che risulta più importante è quello relativo ai casi segnalati in una tabella che, però purtroppo è relativa solo ai Comuni del distretto di Bergamo. Per esempio:
- Bergamo: abitanti 30.572 ammalati 1.462, guariti 559 morti 903;
- Seriate 1.988 abitanti, ammalati 142,guariti 91,morti 71
Interessante da notare che in quel periodo Seriate era già il Comune più popoloso del distretto di Bergamo. Come si può vedere dall’allegata tabella il distretto di Bergamo era composto da 31 comunità (tra esse alcune sono tutt’ora comuni altre, invece, si sono unite tra loro) con 51720 abitanti. Gli ammalti furono 2.278 ( pari al 5% circa della popolazione) i guariti 958, i morti 1336 (pari al 60% circa degli ammalati). Lo studio, pur nella sua essenzialità ci permette di cogliere come alcune dinamiche della diffusione delle epidemie-pandemie siano, per alcuni aspetti, abbastanza simili per cui più le si conosce più è agevole difendersi.