6 giugno 1944. Il D-Day, il giorno più lungo della storia, è fatto anche di tantissimi nomi, i primi che mi vengono in mente: penso ad Utah Beach in cui andò tutto bene, ed ad Omaha Beach in cui andò tutto storto, penso a Rommel a casa in licenza perché convinto che gli alleati non avrebbero attaccato in quei giorni, e che di fronte all’attacco chiese rinforzi ad Hitler, che glieli rifiutò pensando esagerasse.
Penso ai geniali porti Mulberry costruiti con giganteschi cassoni prefabbricati davanti alla costa francese per consentire l’attracco sicuro delle navi e lo sbarco a terra dei mezzi. Penso a Robert Capa che fece foto fuori fuoco perché le riteneva più incisive e adatte a rendere la situazione, tecnica che userà decenni dopo Spielberg col suo soldato Ryan, e penso all’inviato di guerra Ernest Hemingway con la descrizione delle navi a forma di bara.
Ma di questi tempi penso soprattutto ad un generale tra i meno famosi, lo scozzese Simon Fraser, più noto come Lord Lovat, il più giovane generale dell’armata, un nobile scozzese di trent’anni che invece della divisa indossava pantaloni di velluto ed un maglione di lana, e che si era portato un suonatore di cornamusa per farsi sentire e far capire ad alleati e francesi che c’era, e dove. Un generale vero, quando tradizioni ed identità non sono paccottiglia per propaganda elettorale, ma sono valori messi al servizio di cause nobili e di altri popoli, altro che pacchiane nostalgie di X mas.
Infine non posso non pensare a quei tanti giovani sconosciuti che hanno dato la vita per liberare popoli diversi dal loro, invasi da un invasato nazista nazionalista. Per tanti che sento oggi, verrebbe da chiedere “Ma perché l’avete fatto? Per chi? Ma chi ve l’ha fatto fare?”
La storia si ripete, ma dopo ottant’anni abbiamo dimenticato quella lezione. Grazie di cuore a chi ha permesso tutto questo, grazie ragazzi. E grazie a chi continua a farlo anche oggi.