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Rivendico il diritto di augurare Buone Feste invece che Buon Natale. Del resto, personalmente, da sempre adotto questa formula. Sia per economicità, diciamo così, mnemonica in un mese felicemente farcito di differenti e contrapposte festività, sia per una individuale mentalità inclusiva e laica. Intendiamoci, rivendico tale diritto non per seguire la proposta europea immediatamente ritirata in seguito a una sollevazione ipocritamente indignata da parte di chi si erge a paladino a senso unico dei valori fondanti della nostra civiltà. Ma per dissentire dal falso perbenismo pronto a impugnare la spada non appena si osi porre anche solo una riflessione su determinati principi divenuti però luoghi comuni perché deprivati dei loro significati più profondi e specifici (vedi appunto il Natale), salvo poi contraddire nelle prassi comportamentale tale moralismo tradizionalista.

Che poi, volendo essere pacati e realisti, il suggerimento partorito nei palazzi di Bruxelles non portava a nessun obbligo o vincolo giurico-legale. Nessun cittadino europeo veniva obbligato ad augurare Buone Feste. Semplicemente, prendendo atto dopo secoli che anche l’Europa tutta ormai si è trasformata da Società delle Nazioni autorevolmente delimitata da confini e bandiere esclusivi e arroganti, in una società multietnica dove tradizioni, costumi, abitudini e persino modi di dire e di fare si sono non solo scambiati e mescolati, ma a volte persino annullati. Un multiculturalismo che sebbene soprattutto in Italia fatichi ad essere accettato dalla classe politica, meglio, da una certa classe politica, trova nei fatti e nella vita quotidiana una quasi scontata e popolare applicazione.

Ecco perché anche il linguaggio può assumere significati meno di appartenenza e soprattutto può risultare scevro da qualsivoglia sfumatura ideologica, al fine di includere connotazioni e denotazioni aperte, neutre e persino cordiali. Tutto il contrario del demagogico orticello ideologico tanto caro al populismo e a leader politici attratti unicamente dal vantaggio elettorale ancorché dalla campagna elettorale perennemente in atto. Troppo comodo plaudire l’Europa quando abolisce dogane, frontiere (Schengen docet) per i nostri comodi vantaggiosi viaggi turistico-professional-artistico-lavorativi, per poi scagliarsi contro ogniqualvolta si toccano, diciamolo veramente, aspetti prettamente formali e consumistici seppur simbolici.

Rivendico, ripeto, il diritto a dire Buone Feste invece che Buon Natale senza per questo sentirmi fuori dal contesto etno-cultural-religioso d’appartenenza, o, peggio, senza sensi di colpa nei confronti del comune sentire. Ma vogliamo focalizzare il Natale? Cosa è diventato? Cosa rappresenta? Chiedetelo ai centri commerciali (o ai mercatini! Senza i quali ormai pare non possa esserci Natale alcuno!), o ai bed&breakfast e alle agenzie di viaggio. Per non dire delle luminarie (vero elogio dello spreco alla faccia del risparmio energetico) allestite solo nelle vie dello shopping e dei grandi negozi: certo, le pagano i commercianti. Il loro obolo per il Natale. Tutto il resto, periferie comprese, nella solita desolata routine. Chi più ha più gode, più spende e più si diverte. Per tutti gli altri, mancia: ammirate il panorama e i bei tramonti. Tanto basta. Anzi: basta la salute. Di questi tempi poi.

Dove sono i politici (e non solo) strenui difensori della cristianità e dei valori fondanti dell’Europa? È questo il Natale che li fa sentire in pace con la coscienza? Che li riconcilia con i comuni valori cristiani? Salvare le apparenze: con le parole giuste, con le luci giuste, con i sorrisi condivisi tra persone giuste. È questo il Natale? Consumistico, finto-cordiale, evasione, antistress, divertimentificio continuo. Se fossero veramente tutti cristiani (sbaglio o si celebra la nascita di Cristo?) in questa festività, annessi e connessi compresi, rifiutebbero ogni forma di alterazione celebrativa, ogni senso drogato della spettacolarità, ogni fraintendimento filologico. Ma anche ogni uso logorroico e indiscriminato di parole e di richiami all’etica, alla morale, alle radici comuni. Che poi tanto comuni non sono perché nella mescolanza delle culture e nella promiscuità delle etnie e delle razze si sono mischiate anche le tradizioni, le idee e le religioni.

Non ci resta che fare: a, au, aug… auguri.

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