Uno dei più grandi successi televisivi dell’anno appena trascorso è stata certamente la puntata natalizia dedicata a Napoli da parte di Alberto Angela. Ecco dunque che, nell’iniziare questo 2022, vi proponiamo di tornare in questa splendida città grazie al nuovo film del regista Luigi Pingitore (sito ufficiale). Nel cuore storico di Napoli, infatti, i tre piani dell’ottocentesco Palazzo Donna Regina ospitano da quindici anni il Museo Madre: 7.200 mq di spazi espositivi, con installazioni site-specifici, opere che compongono la collezione permanente e installazioni temporanee.
Raccontare il museo MADRE significa raccontare quattro dimensioni intrinsecamente connesse. La prima riguarda il museo come dimensione architettonica, con i suoi corridoi, la terrazza panoramica, i tre piani collegati dalla scala, gli ambienti interni ed esterni. Poi il museo in quanto contenitore di opere d’arte: le collezioni site specifici, le mostre non permanenti, le installazioni. Una terza dimensione riguarda le persone. Chi ci lavora, chi lo guida e chi lo visita. E infine c’è il contesto urbano nel quale il Madre è inserito, dal momento che il museo sorge a cavallo di due quartieri antichissimi ed estremamente popolari, come Forcella e il rione Sanità.
Ed è proprio il contrasto tra la vocazione alla contemporaneità del museo e l’anima più conservatrice della città attorno a creare un suggestivo arazzo cromatico e sonoro che sintetizza appieno la capacità di Napoli di vivere in perenne equilibrio tra un passato antichissimo e la modernità più avanzata.
Chiediamo così al regista di aiutarci ad entrare all’interno di questa sua nuova opera ponendo alcune domande:
Quale Napoli mostra nel suo film?
Napoli è una città così maledettamente difficile da raccontare e questo nonostante sia una città continuamente mostrata, attraversata, declamata, descritta e immaginata. Eppure, sembra quasi impossibile riuscire a ricostruirla in un immaginario totalizzante. Credo che in gran parte dipenda dai suoi enormi contrasti, dalla compresenza di luce e buio in pochi metri quadri, dalla sua capacità di confermare e subito dopo smentire quello che pensi di lei. Così la narrazione di Alberto Angela è interessante ma non è completa, quella di Gomorra è spietata ma non è completa, quella di Siani è leggera ma non è completa, tanto per citare tre esempi recenti.
Il film Madre non prende di petto Napoli?
No. Anche perché il vero protagonista è il Madre. Però la recupera in un rapporto laterale, simbiotico, che sembra instaurarsi tra questi due luoghi. La città compare ogni tanto attraverso le finestre di Palazzo Donna Regina, si lascia intravedere alla fine di una lunga panoramica, sta addosso al museo con i suoi vicoli e i suoi palazzi incastrati a mosaico. Perché dove si è mai visto un museo d’arte contemporanea che affaccia su un basso? in quale altro luogo del mondo sarebbe possibile oscillare tra la visione di Dark Brothers di Kapoor con il suo nero ipnotico e i panni colorati messi ad asciugare che una signora ha appena steso su uno stendino di fronte a un ingresso secondario (scena che io ho ripreso). Ecco questa oscillazione tra cose apparentemente distanti tra loro è quello io ho cercato di inserirle nel tessuto della narrazione, perché mi è sembrato il modo più onesto per raccontare la mia idea di Napoli, una città metamorfica che non si lascia acchiappare da nessuno.
Quali emozioni desidera trasmettere agli spettatori?
Non saprei rispondere. Io cerco solo di approcciare ogni mio lavoro col massimo dell’onestà possibile. Onestà significa non cedere ad una costruzione astratta, pensata per venire incontro allo spettatore. Non mi piace ammiccare, scivolare nel facile, trattare come uno stupido lo spettatore. Il mio lavoro è un viaggio, chiedo solo a chi guarda di sedersi con me e arrivare fino alla meta mettendoci lo stesso impegno che ci metto io. Considero il documentario il fratello siamese del film narrativo, per cui lo tratto allo stesso modo. Dall’uso della fotografia al sound design, dallo script alla scelta delle inquadrature, tutto è pensato per ricordare a me stesso e agli altri che l’emozione estetica è forse la più alta forma di emozione che l’uomo possa provare. Molto più dell’amore, perché l’amore finisce o delude, la bellezza quasi mai. Poi cosa sia la bellezza… e chi lo sa?! E d’altronde se lo sapessimo, probabilmente smetteremo di cercare, di scrivere, di leggere, di immaginare…
LUIGI PINGITORE
Scrittore, Sceneggiatore, Regista e Montatore. Attualmente sta lavorando al biopic “Jago – into the white” prodotto dalla Whiteness. Ha realizzato nel 2019 il documentario MillenniArts (trasmesso da Rai 5) e nel 2014 il ciclo di documentari Le origini di Gomorra (trasmesso da Rai Storia). Finalista 2016 al premio Solinas web series con il progetto “The stream” Vincitore del premio Torre (2015) per il miglior documentario “Le origini di Gomorra” e del premio Mibac (2011) per il progetto “La ferita” Ha scritto e diretto numerosi cortometraggi, videoclip musicali (per Beltrami, a67, Pynchon Motel). Ha realizzato i format tv L’Italia Raccontata e Le sfide impossibili, Rooms 22 (web series finalista al Giffoni idea 2015) – Apnea (short movie, 2011), Nell’ora del blu (short movie, 2008) Sta lavorando alla sceneggiatura del suo primo lungometraggio fiction.