Stavano sistemando i fiori dell’entrata del nuovo parroco di Carenno. “Una chiesa fatta tutta con la pietra del luogo” mi spiega la signora e mi raccomanda: “guardi il bel crocifisso in fondo alla chiesa“. Le chiedo di Gustavo Bontadini, professore di Filosofia Teoretica all’Università Cattolica che dibatteva con il collega bresciano Emanuele Severino dell’essere e del nulla. Tutt’e due si rifacevano a Parmenide, l’iniziatore del pensiero filosofico. “Ha voluto farsi seppellire qui. Era di Milano e con la famiglia veniva in villeggiatura ancor prima della Guerra del ’15-’18”.
Dall’inizio del ‘900 i milanesi hanno punteggiato di ville la strada che sale da Calolzio e mio nonno era giardiniere in una di queste. Dopo la ferrovia si raggiungeva Carenno a 650 metri sul livello del mare per la gradita villeggiatura estiva.
Davanti alla Chiesa dedicata a Santa Maria Immacolata si ha la percezione dello sforzo di una comunità piccola e ingegnosa. Ancora oggi non c’è pietra fuori posto per un complesso che si completa con la sala della comunità dalla facciata semicircolare sporgente sulla valle. Fu opera del giovane e promettente architetto Luigi Angelini, allora alle prese con il progetto di riqualificazione di Città Alta. Si servì delle maestranze del posto, muratori ricercati dalla Svizzera. Condannando la vecchia Chiesa dei Santi Pietro e Paolo alla quiescenza che pur era stata restaurata non molto prima, sul finire del secolo XVIII, e riadattata secondo uno stile neoclassico. Tirava aria di crescita e di progresso.
Carenno nel Medioevo sorvegliava la valle. D’intesa con Bergamo e ostile a Milano che con i Visconti tendeva a sconfinare. Dominavano i Rota, originari, come indica il nome, della Val Imagna. Chi passava in valle, su barconi o a cavallo – Calolzio si formerà nell’ ’800 con l’avvento della ferrovia – alzava qui un occhio di riguardo. Il Signore di Milano Bernabò Visconti colpì l’orgogliosa famiglia pronto a vendicare l’assassinio del figlio Ambrogio. Ci furono cinquanta decapitazioni a Pontida. Era l’anno 1373.
Nel Seicento diventarono importanti i Rosa. Un loro discendente fu Gabriele, lo storico dei dialetti e delle tradizioni popolari, nato a Iseo e negli ultimi anni precettore in una nobile famiglia di Caprino. Patriota mazziniano venne mandato dal governo austriaco nel duro carcere dello Spielberg insieme ad altri carbonari come Silvio Pellico.
Quel cognome mi era familiare. Mio papà che suonava nella banda e pure in un’orchestrina andava per il veglione della notte di S. Silvestro o al carnevale all’Albergo Rosa, che c’è ancora. Berizzi era il cognome di un mio compagno delle medie, magrolino, dai capelli ben pettinati con la riga, una parlata corretta. Prendeva sette in Italiano mentre io non arrivavo alla sufficienza. L’insegnante suora, di Arezzo, diceva che i miei temi erano infarciti di anacoluti dove soggetto e verbo non si accordano: “scrivi come parli!”, cioè in dialetto. Lui si schierava con il perdente Ettore, io con Achille quando leggevamo l’Iliade in classe. Altra compagna era una certa Carenini che non abitava a Carenno ma nel cognome riecheggiava, come per tanti, il paese di origine.
Altri ricordi risalgono alla prima vacanza in località Boccio, una frazione sulla via del Pertus e poi della Val Imagna. Il papà aveva affittato la stanza che ridiventava poi aula scolastica per i bambini della frazione all’inizio dell’anno scolastico. Da quelle parti abitava un certo Vanoli che morì nella Guerra di Libia quando il liberale Giolitti inseguì il sogno dell’Italia colonialista.
La Grande storia si affacciava ancora a Carenno come per una targa posta sulla casa che fu di Don Davide Albertario, giornalista milanese, fondatore e direttore dell’Osservatore cattolico, prima intransigente oppositore al nuovo Stato d’Italia poi vicino alle istanze operaie e sociali. “Il popolo vi ha chiesto pane e voi avete risposto piombo” scrisse rivolgendosi a Bava Beccaris, il generale che represse i Moti di Milano del 1898. Accusato di fomentare la protesta fu condannato a tre anni di carcere.
Oggi gli alpini preparano i festeggiamenti del 4 Novembre, celebrazione dell’Unità nazionale. Questo giorno del 1918 l’Italia concludeva vittoriosamente la guerra contro l’Austria. E Carenno aveva dato il suo tributo di giovani vite alla Patria.
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