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Dopo aver ammesso e dimostrato l’esistenza di Dio, possiamo trovare in esso la garanzia della verità di ogni evidenza. La ragione è semplice: se Dio è perfetto, non può ingannarmi, non può indurmi in errore. La facoltà di giudizio che mi proviene da lui non può essere tale da portarmi a sbagliare, se viene applicata rettamente, se effettivamente ha oggetto l’evidenza; è Dio a garantirlo.

Tramite Dio pertanto, il nostro intelletto fa un passo in avanti, esce dalla certezza del pensiero puro per raggiungere le certezze dell’evidenza, che sono sì al di fuori del mio pensiero, ma sono garantite da lui, quindi vere.

Ma se Dio è garante della correttezza del nostro giudizio allora com’è possibile l’errore? Perché l’uomo sbaglia? Per Cartesio l’errore dipende dalla presenza contemporanea di due cause: l’intelletto e la volontà. L’intelletto umano, a differenza di quello di Dio, è finito e imperfetto mentre la volontà, che consiste nella possibilità di fare o di non fare, di credere e di non credere, di affermare o negare, ecc. è illimitata e libera, quindi assai più estesa dell’intelletto. Ebbene siccome la volontà non opera soltanto quando l’intelletto le presenta alternative certe e definite ma anche quando tale chiarezza non sussiste, quindi anche in circostanze poco evidenti, può capitare che essa mi porti ad adottare delle scelte anche in assenza di certezza; è per questo che posso cadere in errore, posso sbagliarmi e affermare per vero ciò che vero non è. L’errore insomma, per Cartesio, dipende dal libero arbitrio, dalla libera e infinita facoltà di scelta dell’uomo.

Se l’uomo non agisce soltanto di fronte all’evidenza ma anche nell’oscurità allora il suo operato non sarà sempre corretto e le cose al di fuori di lui che percepisce con i sensi potrebbero non essere vere, potrebbero non esistere, non possono non essere macchiate dal dubbio.

Quindi, chi mi garantisce che l’orologio che ho di fronte non sia soltanto una riproduzione della mia mente, un errore, ma trova corrispondenza nel mondo reale? Cosa mi può confermare che un triangolo ha effettivamente tre lati e tre angoli? Per Cartesio è proprio Dio. Dio è garante dell’ordine del mondo, garante del metodo e della verità di ogni evidenza. Solo quando opero rettamente all’insegna di un metodo matematico e geometrico mi muovo nella verità perché è proprio l’esistenza di Dio a garantirlo.

Cartesio quindi procede in due direzioni: da una parte afferma che l’esistenza di Dio è un evidenza (perché essendo perfetto e completo non può non esistere) e dall’altra asserisce che le evidenze sono tali perché è Dio a garantirle (Dio garante della verità delle evidenze). Nonostante che di entrambe le verità sia convinto il filosofo, tali considerazioni, però, mi permetto di dirlo, meritano qualche critica perché ogni verità va dimostrata come ce lo ha insegnato la rivoluzione scientifica, e non si può dire che una cosa è vera semplicemente perché è evidente.

Ma allora perché Cartesio ha dovuto tirar fuori un’antica dimostrazione di Anselmo per giustificare il suo metodo? E Perché “usa” Dio per affermare la verità delle evidenze? La risposta non è difficile intuirla, e per questo si merita le accuse. Lo fa per blindare il suo sistema, per trovare una certezza assoluta, un punto di partenza certo e indubitabile che possa salvare l’intero impianto teoretico della sua dottrina.

Ecco un estratto tratto dal Discorso sul metodo in cui Cartesio espone la teoria di Dio quale garante delle verità evidenti.

In primo luogo infatti, quella stessa affermazione che poc’anzi ho assunto come regola, cioè che son vere tutte le cose che concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto, è certa solo in quanto Dio è o esiste ed è un essere perfetto e tutto quanto è in noi viene da lui. Ne consegue che le nostre idee o nozioni, essendo cose reali e provenienti da Dio, in tutto quello che hanno di chiaro e distinto non posso essere che vere. Di modo che, se abbastanza spesso ne professiamo alcune che contengono il falso, deve trattarsi solo di quelle che presentano aspetti confusi ed oscuri giacché in ciò partecipano del nulla, cioè tali idee sono in noi così confuse solo perché non siamo del tutto perfetti. D’altronde è evidente che come è inaccettabile che la falsità o l’imperfezione, in quanto tale, proceda da Dio, così e altrettanto inaccettabile che la verità o la perfezione venga dal nulla. […]

Ora dopo che la conoscenza di Dio e dell’anima ci ha dato la certezza di questa norma, diviene molto facile riconoscere che i sogni che immaginiamo nel sonno non debbono indurci in nessun modo a porre in dubbio la verità dei pensieri che abbiamo da svegli. Infatti, se accadesse, anche nel sonno, di avere qualche idea molto distinta, come -per esempio- se un geometra concepisse una nuova dimostrazione, non sarebbe il sonno ad impedire di esser vera. Per quanto riguarda poi uno dei più frequenti errori dei nostri sogni di rappresentarci vari oggetti così come fanno i nostri sensi esterni, non importa che ci dia ragione di diffidare della verità di tali rappresentazioni, perché queste possono pure ingannarci abbastanza spesso anche quando non siamo immersi nel sonno.

Infine, sia nella veglia che nel sonno, dobbiamo lasciarci persuadere soltanto dell’evidenza della nostra ragione. E bisogna notare che dico della ragione, e non dell’immaginazione né dei sensi. Infatti, ad esempio, pur vedendo il sole molto chiaramente, non dobbiamo per questo giudicare che sia tanto grande quanto ci appare e, pur immaginando una testa di leone congiunta ad un corpo di capra, non dobbiamo da ciò concludere che vi sia nel mondo una chimera: la ragione, infatti, non ci dice che è vero quel che così vediamo o immaginiamo, ma ci suggerisce che tutte le nostre idee o nozioni debbono avere qualche fondamento di verità, poiché non potrebbe essere che Dio, che è assolutamente perfetto e veridico, le abbia poste nella nostra mente senza che fossero vere.

Tratto da R. Decartes, Discorso sul metodo, in Opere scientifiche, cit., vol. II pp. 147-148.

Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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