Platone nelle sue opere fa ampio uso del mito. Ma il mito platonico si distanzia dal mito religioso tradizionale; per lui, infatti, è soprattutto una metafora e un modo per rendere maggiormente comprensibili, e suggestibili, le sue teorie.
Nel mito i contenuti filosofici vengono veicolati attraverso immagini accessibili sostanzialmente a chiunque, anche ai meno avvezzi. Per Heidegger il mito in Platone è un mezzo che consente, inoltre, di andare al di là del linguaggio e spiegare cose altrimenti non spiegabili con il linguaggio abitualmente usato. Del mito di Er abbiamo già parlato, vedremo quelli che rappresentano probabilmente alcuni dei miti più celebri di Platone: il mito della biga alata, il mito della caverna, il mito dell’androgino, il mito del demiurgo, il mito di Prometeo e il mito di Theuth. La loro lettura permette l’acquisizione dei criteri filosofici fondamentali del pensiero platonico.
La biga alata
Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dei e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ si e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso. (Fedro, 246 a-b)
Il mito della biga alata di Platone è tratto dal Fedro e ha la funzione di spiegare la teoria della reminiscenza, la teoria secondo la quale, lo ricordiamo, l’anima attuale può ricordare le idee contemplate nell’iperuranio durante la fase di transizione che inizia dopo la morte e finisce con la reincarnazione.
Si racconta di una biga su cui si trova un auriga che rappresenta la parte razionale dell’anima e due cavalli, uno bianco e uno nero che simboleggiano entrambi l’aspetto irrazionale, e rispettivamente, uno i sentimenti spirituali, più elevati e sublimi, e l’altro quelli passionali, più infimi e materiali. L’auriga non si muove in modo autonomo; il suo compito è solo quello di guidare e gestire i due istinti contrapposti. Se il cavallo bianco tende a portarsi verso il cielo per avvicinarsi alla perfezione delle idee assorbendone la sapienza, quello nero trascina l’anima verso il basso, verso il mondo sensibile. L’auriga cerca di mantenere l’equilibrio, ma dopo un po’ cede alla forza del cavallo nero e si incarna in un corpo. Ebbene, il tempo per il quale l’auriga è riuscito a mantenere la biga nel mondo delle idee determinerà il livello di saggezza della persona nella quale si troverà l’anima incarnata. Chi è precipitato subito rinascerà da ignorante mentre colui la cui anima è riuscita a stare più a lungo nell’Iperuranio nascerà saggio e filosofo.
Affinché l’auriga possa rimanere a lungo nel mondo delle idee il cavallo bianco dovrà, naturalmente, essere forte e ben allenato, e ciò è possibile solamente se in vita l’anima ha potuto elevarsi coltivando la virtù del bene, del giusto, del bello, ecc. Per questo, dice Platone, la nostra vita non deve essere un rifiuto della morte, un fuggire a questo terribile evento, ma, al contrario, una lunga e impegnativa preparazione alla sua conclusione. Solo se ci facciamo trovare pronti la morte non ci coglierà impreparati e potremo, liberi dalle catene del corpo, cogliere meglio le idee.
Anche le anime degli dei, dice Platone, hanno i cavalli, ma sono solo bianchi, buoni e di buona razza, per questo volteggiano nel cielo senza mai il rischio di precipitare verso il basso nella reincarnazione.
Se per Omero era inconcepibile un’anima dietro il corpo, viene raffigurata in questo mito una questione centrale del pensiero platonico: la netta distinzione tra l’anima (la parte più elevata) e il corpo. E’ una teoria di origine Orfica: l’anima è prigioniera del corpo e dei suoi più bassi istinti. Platone mortifica il corpo ma non nega in sé la necessità delle passioni; semplicemente vuole, per poter vivere un’esistenza felice e armoniosa, che impariamo a tenerle a freno, a controllarle e a tenerle lontane quanto più riusciamo. Ciò è possibile, secondo il filosofo di Atene, solo grazie alla riflessione filosofica, alla scienza e alla saggezza. Solo così potremo raggiungere la verità.
Scrive infatti Platone nel Fedone:
Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, noi non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo, vale a dire la verità. (…) Pertanto, nel tempo in cui siamo in vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto più al sapere quanto a meno avremo relazione col corpo e comunione con esso. (…) E così, liberati dalla follia del corpo, come è verosimile, ci troveremo con esseri puri come noi e conosceremo, nella purezza della nostra anima, tutto ciò che è puro: questo io penso è la verità.
A differenza che nei sofisti (ricordiamo quanto già detto nella introduzione, il platonismo non può venire filosoficamente compreso in modo adeguato se non in antitesi al sofismo) per Platone la scienza è perfetta perché non ha come oggetto le cose del mondo così come apprese dai sensi in modo mutabile e imperfetto, ma ciò che resta fisso e unitario nel divenire. Al contrario delle opinioni, il suo sguardo non è rivolto al diveniente e al molteplice ma alle forme essenziali delle cose, all’immutabile.
STORIA DELLA FILOSOFIA. TUTTE LE LEZIONI PUBBLICATE
Lezione 1: Le origini della filosofia in Grecia. La scuola ionica
Lezione 2: Eraclito, filosofo del Panta rei
Lezione 3: Pitagora, non solo filosofo ma taumaturgo e astronomo
Lezione 4: Parmenide e le vittime dell’illusione dei sensi
Lezioni 5: I paradossi di Zenone. Vi dicono qualcosa Achille e la tartaruga?
Lezione 6: Anassagora e i semi originari della materia
Lezione 7: Empedocle e le quattro radici: fuoco, aria, terra e acqua
Lezione 8: Democrito, padre della fisica
Lezione 9: La sofistica. Come si monetizzava nell’antichità con la filosofia
Lezione 10: Protagora. L’uomo è misura di tutte le cose
Lezioni 11: La filosofia di Gorgia su essere, conoscenza e comunicabilità
Lezione 12: La tragedia greca con i quasi filosofi Eschilo, Sofocle ed Euripide
Lezioni 13: Eschilo, padre della tragedia greca
Lezione 14: Sofocle e l’innovazione della tragedia greca
Lezione 15: Nella tragedia greca di Euripide stranieri e servi entrano in scena
Lezione 16: La filosofia di Socrate così spaventosa per politici e potenti
Lezione 17: Socrate e il rifiuto di filosofare per iscritto
Lezione 18: Socrate. Le affinità con i Sofisti e con Platone
Lezione 19: Antropocentrismo filosofico di Socrate
Lezione 20: Socrate e la consapevolezza della propria ignoranza
Lezione 21: Ironia come metodo
Lezione 22: La maieutica di Socrate per un genuino punto di vista sulle cose
Lezione 23: Il tì èsti di Socrate (che cos’è?) e la nascita della parola concetto
Lezione 24: Il significato della virtù per Socrate, non dono ma conquista
Lezione 25: La scienza del bene e del male e l’arte del saper vivere
Lezione 26: La religione in Socrate
Lezione 27: Le scuole socratiche: megarica, cinica e cirenaica
Lezione 28: Introduzione alla filosofia di Platone
Lezione 29: La vita di Platone, filosofo e lottatore
Lezione 30: I primi dialoghi di Platone e l’influenza di Socrate
Lezione 31: L’Iperuranio e il concetto di idea in Platone
Lezione 32: Platone. Il rapporto tra il mondo sensibile e il mondo delle idee
Lezione 33: La teoria della reminiscenza di Platone
Lezione 34: Platone e l’immortalità dell’anima
Lezione 35: Verità e opinione per Platone
Lezioni 36: Platone. Le passioni, ostacolo alla verità