Chi nell’antichità si è impegnato a riflettere sull’idea del nostro bene è stato Platone, in particolare nell’opera Repubblica (par 505ss). Per lui devono governare i filosofi che sanno cos’è il bene e cosa il male. Alla domanda precisa sull’idea di bene Socrate, il personaggio centrale, è cauto: “non è cosa la cui essenza può dirsi”. Tuttavia suggerisce una strada per arrivarci, l’analogia del sole. Il bene è per le cose invisibili ciò che il sole opera nei riguardi delle cose visibili, le tiene in vita, dà energia, le illumina. Dà inoltre due altre ragioni.
Il bene ha una natura collettiva. I viventi esercitano un equilibrio tra loro, si compensano ciascuno con la propria forza e c’è chi è più robusto o veloce, chi controlla e chi procrea, ma tutti in una struttura di vita che li ordina. Così c’è una morte da cui sgorga la vita, una generazione che lascia spazio all’altra. Ordo naturae dicevano gli antichi. Noi moderni l’abbiamo chiamata Provvidenza, se siamo credenti, selezione naturale se ci affidiamo alle scienze della natura. Darwin ha parlato di equilibrio instabile perché l’ambiente è soggetto a cambiamenti e certe forme di vita si adattano meglio di altre, e c’è sempre lo sforzo di riaggiustamento. Buono è ciò che si adatta, tiene insieme, funge da equilibrio.
La vita inoltre si presenta in forme sempre più complesse i cui effetti sono spesso imprevedibili. Il fenotipo determina le caratteristiche del vivente e ne condiziona i comportamenti. Basta la modifica di un gene, la pressione di un cambiamento climatico e l’individuo cambia, sopravvive o soccombe. Gli effetti non sono immediati, hanno tempi lunghi, impossibile definirli, essere certi oggi del bene futuro. Tocca solo ai politici? E’ un calcolo difficile. Ne parla Sartre nella sua opera teatrale Il diavolo e il buon Dio (1951). Ogni azione umana è condizionata ed è difficile prevederne gli effetti. Chi fa il bene va incontro a mali a non finire, chi segue il diavolo a volte provoca, senza volere, reazioni benefiche.
Ordine divino, meccanismo naturale o ecosistema, il nostro mondo un certo giorno finirà, le forze cosmiche prenderanno il sopravvento e l’umanità sarà cancellata.
L’uomo, rispetto agli altri viventi, è favorito, l’homo sapiens in specie. E’ dotato di mani, occhi, orecchi, bocca, di una strumentazione artificiale che gli permette di difendersi nel proprio habitat, di controllarlo fino a ricrearlo in condizioni di vita impensate.
Nel mito di Prometeo si racconta che gli uomini, usciti da una situazione infelice, nonostante il dono del fuoco erano ricaduti in lotte fratricide. Zeus era di nuovo intervenuto e, tramite il suo messaggero Hermes, aveva fatto doni aggiuntivi: la parola e la politica. Si educa al bene coordinandolo a quello degli altri.
Da qui nasce la giusta impostazione della libertà. Se tu stai male anche io ne soffro e viceversa per il bene. Non esiste un bene soggettivo. L’epigenetica insegna: l’individuo è una costruzione sociale. C’è interazione tra genoma e ambiente. Il contesto modella il corpo che risulta punto di arrivo di una trasformazione. I nostri marcatori biologici si trasmettono da una generazione all’altra e l’individuo è il risultato di una serie di fattori fisici, culturali e sociali. Quante persone rovinate da un contesto sociale sbagliato!
Già lo sostenevano gli utilitaristi del ‘700: una società è buona se i beni sono partecipati. I pragmatisti aggiungevano: è arida la società avida, dove il consumo è riservato a pochi.
L’uomo non può più essere saccheggiatore o padrone ma custode della terra. Al politico il compito di moderare, equilibrare, rendere compatibili le risorse per il bene di tutti.
Richiede consapevolezza, sapienza, responsabilità (Il principio responsabilità, H Jonas): “Agisci in modo che gli effetti della tua azione siano compatibili con una vita autentica e con la dignità di vita per tutti”. Compresi i viventi che ci accompagnano sul nostro pianeta e che a causa nostra sono a rischio di estinzione. Non seguiamo il dissennato Epimeteo, che conosce in ritardo, impariamo da Prometeo, che conosce prima, e la nostra sia una politica di vita buona e accettabile per tutti.
A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione dal professor Carlo Sini, Membro del direttivo della Società Filosofica Italiana, “Il nostro bene” dell’10 novembre 2020 nell’ambito della programmazione di Noesis).
Per Platone devono governare i filosofi i quali sanno cos’è il bene e cos’è il male. Anch’io sono convinto che dovrebbero essere i filosofi a governarci, atteso che gli stessi rappresentano comunque, nel bene e nel male il pensiero creatore dei diversi sistemi sociali e quindi anche dell’assurdo modello di sviluppo socio economico attuale. Allora come non interrogarsi sulla responsabilità degli attuali filosofi? Dove sono finiti? Perché non guidano le nuove generazioni alla ribellione verso un modello di sviluppo sociale, non solo vergognosamente ingiusto ed ipocrita, ma addirittura foriero di disavventure tali da mettere persino a rischio di estinzione la nostra stessa specie, sia per la pericolosità degli armamenti globali sia per la predazione delle risorse naturali?
John Rawls credo sia l’ultimo filosofo che si è speso per denunciare le insopportabili ingiustizie sociali, ci ha lasciato una corposa opera che avrebbe dovuto stimolare i nuovi filosofi ad impegnarsi politicamente al fine di avviare quegli indispensabili cambi di percorso. Oggi, mi duole doverlo dire la Filosofia, come la Politica, come la Religione e come la Cultura in genere si è prostituita al dio denaro, alla finanza, le poche voci fuori campo sono emarginate e la loro voce è così flebile, impossibile ad essere ascoltata dalle orecchie sorde del popolo.