Biondi immobiliare

Chi era il partigiano bambino? Nessuno lo seppe mai. Un ragazzo, un povero ignoto ragazzo, senza famiglia, senza nome. Aveva seguito i nostri giovani patrioti sulla montagna; aveva vissuto la loro vita di sofferenze. Le gloriose giornate di fine aprile lo videro nella lotta per la liberazione di Bergamo. Fu ferito; all’ospedale giunse su una barella. Aveva una gamba colpita da un proiettile. Sorrideva. Gli occhi chiari di bimbo avevano bagliori di fierezza. Tre mesi rimase inchiodato nel lettino bianco, in fondo alla corsia. La ferita, che parve in un primo tempo leggera, s’aggravò e il suo stato divenne allarmante.

Chi informare? Nessuno sapeva, di preciso chi fosse. Solo qualche frase vaga dialettale rivelarono che era friulano, ch’era stato sulla montagna e che era buono. Due amici lo venivano ogni giorno a trovare all’ospedale: un prete, don Renzo ed un giovanotto di Colognola, Algeri. Furono questi che l’assistettero fraternamente al posto dei genitori sconosciuti e ignari. Don Renzo e il signor Algeri ne raccolsero, piangendo, l’ultimo sguardo d’addio e l’ultima voce stanca: “Vedo gli angeli!… Mamma!”  Era il 18 luglio 1945.

Il 20 luglio fu portato al cimitero. Lo seguirono i suoi due amici, una rappresentanza di patrioti, alcuni dell‘ospedale. Da allora il Capitano Dami delle Fiamme Verdi e il Comitato di Liberazione di Bergamo cercarono del piccolo patriota friulano il nome, il luogo natale, la famiglia. Niente. Il partigiano bambino riposa, soldato ignoto, nel camposanto comune in una tomba senza nome, simbolo del sacrificio silenzioso di tanti figli d’Italia, ammantato di quella segretezza che protegge i sentimenti più puri e le azioni più pure.


tratto dal volume “La nuova alba è anch’essa rossa di sangue e cupa di odio
Autore Osvaldo Gimondi, edito dal Centro Studi Francesco Cleri di Sedrina.