Capita che i bergamaschi si sveglino una mattina e controllino i sorteggi dei gironi della Champions. Un po’ ci siamo abituati a questo nuovo status della Dea, ammettiamolo, come se fosse il risultato di un lungo lavoro, come costruire una casa, che quando è pronta non ci passi solo le vacanze, perché te la sei costruita per viverci. In effetti è così, la terza partecipazione consecutiva alle coppe europee, e la seconda nel girone dei campioni, è figlia di una programmazione che viene da lontano.
Merito della società e di un allenatore che con la vittoria sulla Lazio ci ha regalato la centesima vittoria su 189 partite, e merito anche dell’ambiente, come si dice in gergo, fatto di un popolo che ha aspettato tanti anni prima che la regina delle provinciali trovasse il suo posto fisso alla corte del calcio europeo. Ma il pallone è rotondo, come ci hanno insegnato i nostri allenatori sui campetti polverosi della provincia, il che significa che le cose possono anche non girare per il verso giusto.
Lo abbiamo visto in quella finale di Coppa Italia con la Lazio dove ci è stato tolto un trofeo che avremmo pienamente meritato, o come questa estate, quando quei due minuti finali contro le superstars parigine hanno interrotto il sogno più bello, che non solo una squadra, ma un’intera comunità territoriale aveva voglia di vivere fino in fondo, soprattutto dopo i mesi dolorosi del lockdown. Eppure siamo ancora qui, e l’inizio del campionato ci ha regalato la certezza di un collettivo solido e consapevole dei propri mezzi.
L’Atalanta è ormai una grande che si sente grande, e questo nel calcio può fare la differenza. Lo si è visto a Torino, dove la differenza dei valori in campo poteva anche far pensare ad un esito del genere pur contro la grinta del vecchio cuore granata, ma ne abbiamo avuto la conferma soprattutto nella Capitale, dove sia il gioco che il cinismo delle grandi si è rivelato essere ormai un marchio di fabbrica. Tutti i traguardi sono possibili, anche perché i margini di miglioramento sono ancora tanti, e siamo tutti curiosi di vedere fino in fondo quanto potranno dare i Mojica, i Lammers, i Romero, senza dimenticare i tanti ragazzi neroazzurri in giro per l’Italia a farsi le ossa, e soprattutto, aspettando quel fantastico giocatore di nome Joseph Ilicic al quale è stato tributato un affetto enorme da parte di tutti.
E ora pronti a volare ad Amsterdam e Liverpool a incontrare la storia del calcio, orgogliosi di essere arrivati qui, e convinti, nel nostro piccolo, di essere anche noi un pezzo di storia. A meno 34 dalla salvezza, per ora, e poi si vedrà.