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Il racconto secondo Carlo Sini

La prima figura della verità è il mimetismo animale (Lacan). L’animale si traveste, si nasconde. Lo fa per sedurre o per cacciare, per catturare o evitare di essere catturato. Così l’uomo. Gioca di maschera, la sua maschera è la parola e con le parole, a differenza dell’animale, gioca a mentire (apatheia) o a dire la verità (aletheia). L’inganno e l’astuzia fanno parte del nostro mondo, attraversano i nostri rapporti sociali. Verità e inganno hanno avuto un percorso storico. Si sostennero sull’autorità di chi parlava, fosse sacerdote, politico, poeta. Anche gli dei si mettevano la maschera e giocavano tra verità e inganno. Il cittadino romano che prima di partire in guerra andò a consultarsi dalla Sibilla ebbe come risposta ibis et redibis non moriris in bellum. Può significare, secondo la pausa, “andrai e non tornerai, perché morirai in guerra” oppure “andrai e tornerai, non morirai in guerra”.

Nella modernità ci fu il passaggio: la verità cominciò a fondarsi non tanto su chi la diceva ma su che cosa veniva detto. Nella civiltà della scienza contò il ragionamento, la conformità al reale. Vero è dire come stanno le cose; vero è rispettare i passaggi che portano dalle premesse alle conclusioni. Così si svilupparono le scienze. Per Galileo la verità stava nel rigore matematico. Tale è la verità? Si può definire universale, unica, sovrastorica? O non è piuttosto anche questa una verità particolare, che è uscita da una certa storia, la nostra, quella del mondo Occidentale, con le sue origini in Grecia. Questa tipologia di verità ha avuto un certo sviluppo, si è manifestata in una società di traffici e di commerci, si è sorretta su certi pilastri come il denaro e la spinta del capitale, è approdata alla società della tecnica e del consumo (Marcel Detienne, I maestri della verità nella Grecia arcaica, 1977). Pur glorioso e a lungo vincente non è forse questo un racconto parziale, il racconto di una certa verità?

Da questa storia della verità è nato il nostro uomo, con i conflitti e le contraddizioni che lo segnano. Oggi ci troviamo ad una nuova soglia, alla vigilia della nascita di un nuovo uomo. Ci accorgiamo che il nostro mondo occidentale è solo un pezzo di mondo. Superando il paradosso che immobilizza, occorre riflettere su ciò che diamo per scontato, propensi al dialogo, coscienti delle nostre fragili formulazioni, in cammino per una nuova verità.

Il racconto secondo Florinda Cambria

Non c’è solo il chi e il che cosa raccontare, ci sono anche i modi di raccontare, ciascuno con il proprio criterio di verità. Nel mondo greco c’era l’epos, dalla radice vep che è l’inno, parola cantata, suono che rompe il silenzio. Il muthos viene dalla radice ma o mu e allude al verso animale, primo suono della vita. In logos si affaccia l’idea del raccontare per cernita, in ordine, con calcolo. L’historìa, dalla radice id – da cui ‘oida, ho visto – è il resoconto del testimone. Raccontare la storia vuol dire attenersi ai fatti. Anche se nella comune espressione “raccontare storie” si annida l’inganno: “non raccontare storie!” Diverso il modo di raccontare, diversa è la verità.

Dai racconti vissuti delle origini, racconti partecipati, vibranti, mutevoli, si passò ad una concezione di storia distaccata, garantita, adeguata, rispecchiante gli eventi. Qui il racconto ha uno svolgimento lineare, che rispetta la cronologia, sganciato dalle molte e interessate testimonianze, e perciò attendibile. E’ il racconto logico, storico. Procede in una precisa direzione senza contraddizioni. Ma c’è pure un racconto – poetico? – che ha l’andamento della danza, di andata e ritorno, di dentro e fuori, che procede in diverse direzioni, tra passato e presente, che amalgama e impasta, ricupera e conserva. Si colloca in un tempo vissuto, vacillante e imprevedibile, che si trasforma e muta.

Ogni modo di raccontare ha la propria verità. Legittime le domande per l’oggi: quale uomo sta nascendo, per quale ordine, con quale racconto che sia vero? Nella realtà mutante deve essere un racconto volto a fare verità, non solo a rispecchiarla o a subirla, anche se sarà sempre a rischio di metamorfosi e di confusione di voci.

(Carlo Sini e Florinda Cambria a Noesis 202/23. Sintesi della lezione dal titolo Il racconto della verità nell’auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo, 18 aprile 2023)

Fonte immagine di copertina: Depositphotos