“Chopin scrive sul silenzio, la sua musica ne esce e ci ritorna, è praticamente cucita al silenzio. Se non (si) sa assaporare il silenzio non (si) apprezzerà mai Chopin.” Paradossalmente sono parole non di un musicista, ma di uno scrittore. Mai ho letto o udito parole più vere e profonde di queste su Chopin e, volendo, sulla musica in generale. Ci voleva un non addetto ai lavori, uno scrittore, per rivelare in maniera quasi semplice l’essenza complessa di un musicista come Chopin e della musica. Lo scrittore è Eric-Emmanuel Schmitt (a mio giudizio tra i massimi contemporanei) noto per i suoi testi teatrali e poi anche per numerosi romanzi e saggi fulminanti sugli aspetti esistenziali e quotidiani della vita.
In questo suo ultimo “libretto” di 93 pagine autobiografiche ci racconta in maniera stupefacente e folgorante la sua giovanile esperienza con la musica e lo studio a dir poco originale e imprevedibile di Chopin. Riuscendo in una impresa mai realizzata nemmeno da tanti musicisti professionisti: capire e rivelare il segreto di un personaggio unico e complicato come il compositore polacco dell’ottocento Frederick Chopin. Lo sanno bene tutti i giovani pianisti come i più esperti : eseguire Chopin è più difficile di ogni altro compositore. La sua musica richiede tecnica ma soprattutto introspezione, elaborazione dei suoni nella profondità del pensiero e dello spirito. Non basta suonare bene tutte le note: ognuna di esse richiede tocco adeguato e intensità espressiva sussurrata, empatica corrispondenza e malia sonora.
Dopo anni di studi e una serie incalcolabile di interpreti chopiniani (e di concerti), mai nessuno mi ha svelato con tanta profondità e trasparenza la musica indefinibile e ammaliante, immediatamente emotiva e irraggiungibile di Chopin come questo libretto. Schmitt ha la capacità di intrecciare il discorso musicale con la quotidianità, di legare l’attrazione verso uno studio meno scontato delle pagine chopiniane con gli affetti, le relazioni, i paesaggi, le atmosfere che accompagnano l’evolversi dell’età. Il tutto imperniato sulla vera protagonista del romanzo: Madame Pylinska. Una figura che pare inventata (pare) tanto è fuori da ogni schema didattico il suo metodo di apprendimento. Al di sopra di ogni convenzione e ripetitiva formalità accademica. Perché sostanzialmente legata ai respiri, ai profumi, alle emozioni, alle visioni che avvolgono senza essere visti la realtà della notazione e della pagina musicale. Che tuttavia bisognerebbe saper cogliere sempre.
Perché la musica, sembra suggerirci Madame Pylinska, necessita di mente e corpo in tutti i sensi (sesso compreso), in quanto le note (musicali) possono essere suonate veramente soltanto se tutto il nostro corpo è in tensione con ciò che intensamente gli è affine. Una affinità elettiva fatta soprattutto di silenzi e di ascolti, di sospiri e di attese, di aspettative rimandate per essere più gustate e appagare, di memorie e ricordi indelebili. Che come la musica e insieme alla musica danno un senso e un significato al trascorre dei giorni e al tedio della morte. Esattamente il contrario del nostro convulso, mediatico e virtuale vivere quotidiano sempre più social (paradosso), imperniato di tecnologia continuamente cangiante che, senza accorgersi, trascina in una realtà a dir poco aumentata per non dire distopica.
Schmitt e la sua inarrivabile insegnante (Madame Pylinska) invece indicano una strada lineare e illuminata per tutti. Non facile ma semplice. Come semplici sono le cose e gli aspetti della natura. Bastano occhi per osservare e orecchie per ascoltare. E tutti i sensi che ogni individuo possiede, per poter connettersi con l’armonia dell’universo. Vien da pensare: alle volte ci vorrebbe veramente poco per rendere tutto più pulito e positivo. Basterebbe veramente poco per rifondare un mondo migliore.