Salò. Parola che evoca il momento tragico dell’ultima guerra, la Repubblica di Salò (nome che ho cominciato a sentire da mia mamma) o Repubblica Sociale Italiana (RSI): Mussolini, il Processo di Verona, la fucilazione del traditore Ciano, la guerra civile, le vendette dei fascisti e dei tedeschi. “Dov’era il comando?” chiedo per curiosità. “La residenza di Mussolini era a Gargnano, verso l’alto Garda, a una quindicina di chilometri, la Villa Feltrinelli”, mi spiega un signore sulla panchina davanti al Duomo dove mi sono seduto in attesa che lo aprano. Un’attesa compensata: quando entriamo restiamo sorpresi per la magnificenza, inaspettata vista la facciata povera, salvo il portichetto marmoreo.
E’ la Chiesa dell’Annunciata e si capisce dalle statue sopra il portone d’ingresso, da una parte la Madonna e dall’altra l’Angelo. Basta una battuta del sagrestano perché mia moglie capisca che è pugliese, di Brindisi, ed io mi ripasso la geografia e la storia di quei posti: i baresi che trafugano il corpo di S. Nicola, il patrono di Lecce che è S. Oronzo, mentre Brindisi ha S. Lorenzo, non il martire sempre rappresentato con la graticola ma il cappuccino del Cinquecento (in dialetto brindisino mi dice “non confondere ceci e fagioli”). Si parla di bande, di feste, della festa di Francavilla, suo paesello (50mila abitanti), la festa patronale di tre giorni con spari luminarie statue oscillanti portate in processione. Giriamo per la chiesa e ammiriamo il Crocifisso appeso davanti all’altare maggiore e l’ancona lignea (Pietro Bussolo), la tela di Palma il Giovane (Annunciazione) e la serie di statue della Pietà nell’ultimo altare prima di uscire.
Siamo arrivati sul Garda per “Il Vittoriale”. Una volta i faraoni si costruivano la piramide. D’Annunzio si immortala in un museo. Comprò, attirò, ammassò, assemblò da ogni parte libri, quadri, sculture, soprammobili, statue, mobili, riproduzioni, foto, documenti, pergamene, ricordi vari di amici e conoscenti. Il Vittoriale era un modo per presentarsi, raccontarsi. Ogni oggetto divenne un messaggio, una seduzione, un ammonimento, una messinscena. L’elica dell’aereo appesa al soffitto è un modo per celebrare l’impresa dell’amico. Le stampe di Madonne sono una celebrazione delle sue donne. La tartaruga sul tavolo nella sala da pranzo degli ospiti è un monito alla moderazione per non subire la stessa sorte della sua tartaruga morta di indigestione. Le stazioni della Via Crucis non sono disposte secondo l’ordine tradizionale ma secondo il suo. Il ritratto di Dante è l’immagine del poeta vate che lui incarna. La testa della Duse velata è la celebrazione della dea che lo continua a turbare. Il grande mappamondo dell’Ottocento ricorda le sue imprese aeree. Ecco la testa di aquila scolpita dall’amico per ricordare i padroni dei cieli. Le mostruose maschere che pendono da soffitti e pareti devono intimorire i visitatori importuni. I vasetti della sua farmacia rientrano nella tradizione degli apprendisti stregoni in grado di carpire i segreti della natura.
Ci sono animali scolpiti, uccelli, gatti e soprattutto cani, i levrieri che saranno i custodi della sua tomba. I 36mila libri, nuovi e vecchi, incunaboli e pergamene, lettere e schizzi, sono ovunque, inseparabili compagni del suo spirito creatore. E poi statuette cinesi, ceramiche, vasellami, cesti, fotografie, mappe, orologi, cofanetti, colonnine, armadietti, vetrate liberty, tendaggi, poltrone, divani. Si entra e subito una colonna divide tra ospiti graditi e no, in due sale d’attesa per i creditori e per gli amici. Poi si passa nella sala per gli ospiti del Vittoriale, lo studio, la sala dei medicinali (dove ebbe l’ictus fatale la sera del primo marzo 1938), lo sgabuzzino del telefono (uno dei primissimi, il numero 103), il bagno blu, quello degli ospiti in lunga attesa, la sala pranzo degli ospiti dove lui non pranzava e al suo posto la tartaruga, la stanza da letto, la stanza del catafalco, dove di fatto fu esposto da morte.
Ci si aggira per stanze buie del Vittoriale, dove non si sa dov’è il sole, i tendaggi pesanti, meno male ci sono i colori dei vasellami cinesi, stretti corridoi e scalette, al rischio di inciampare o battere la testa. A D’Annunzio dava fastidio la luce, dopo aver perso un occhio e amava la penombra. Meno male non ha messo mano alla cucina, ridente, essenziale, come le cucine contadine che danno ossigeno alla casa. Tutto lasciò allo Stato (compresi i debiti?). Museo pieno di musei, storia nella storia, si ritrova l’uomo d’azione e di cultura, lo scrittore arguto, elegante imitato e contraffatto, personaggio che si è fatto e disfatto, tollerato e tenuto a bada dal regime, protagonista indiscutibile e sempre in discussione, fascista al di là del fascismo, a malapena ricordato dagli italiani forse e comunque conosciuto e visitato dagli stranieri (inglesi e tedeschi) figura imprescindibile del primo Novecento italiano.