L’identità è generata dall’individuo, cui appartiene il principio che non può essere che se stesso o meglio, come si definisce nel pensiero di Sofia Vanni Rovighi: “Ogni ente che è se stesso, è ciò che è e non insieme a qualunque altra cosa”. Ma ogni individuo appartiene a una famiglia, paese o città, cioè a una comunità, incluso poi in uno Stato e oggi nel mondo intero (chiamato globalismo, se inteso in senso economico).
Tuttavia in questo percorso ognuno deve essere se stesso nell’identità costituita da corpo e mente, da quel suo sapere fatto di conoscenza e fede di una cultura cresciuta nei millenni. Consapevolezza che il primo vero valore è quell’insieme che costituisce la propria persona e se non ho cura, innanzitutto, della mia crescita personale, venderò vento all’altro. Oggi, il pericolo che si corre è l’esaltazione acritica dell’altro per lo più immigrato, fatta da una supponente retorica di spiriti illuminati che gridano: accoglienza, accoglienza, dimenticando i gravi problemi che nascono appena si pone piede a terra. Mi ha impressionato l’atteggiamento di alcune donne italiane allo sbarco dell’ultima imbarcata di immigrati. Sono corse incontro e li hanno abbracciati, baciati, spupazzati: un delirio, quasi in crisi di lunga astinenza affettiva. Ma perché non abbracciano i barboni?
Stiamo smarrendo la via, non tanto per i problemi sociali, ma per come li affrontiamo, vedendo negli altri valori invisibili. La diversità è creatività, ma che stupidità scendere in piazza ballando e ripetere: “Diverso è bello, diverso è bello”, quasi sacerdoti evirati di Cibele, che nel furore religioso si ferivano. Se siamo consapevoli di appartenere a una comunità, prodotto di una grande civiltà, che ci ha dato la Filosofia greca, il Diritto romano, il Cristianesimo, la logica e pensiero medioevale, la poesia di Dante, il Rinascimento, l’Illuminismo, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, allora “l’integrazione avviene quando i nuovi arrivati conoscono e si accostano con rispetto al mondo in cui sono entrati e alla sua cultura, venendone arricchiti e arricchendolo a loro volta con la loro cultura d’origine. Chi vuol far sparire il crocifisso è un fanatico” (Claudio Magris). Del resto non tutte le civiltà sono di pari livello, perché una civiltà la si misura dalla considerazione che si ha della dignità delle persona. E tante culture diverse dalla nostra non brillano.
Se non c’è consapevolezza di appartenere a una grande civiltà bisogna riconsiderarla, riproporla, difenderla con mezzi adeguati, decisi e convinti. E’ la nostra stanchezza che allarma, il nostro sonno che produce incubi, favorito dai sinistri radical chic, zucche vuote emerse dalla notte. Durante la peste manzoniana il sospetto si aggirava ovunque per Milano, che untori spargessero polveri venefiche o ungessero panche e muri. Oggi alcuni gridano al razzismo ovunque, confondendolo con l’insofferenza e disagi a cielo aperto. Eppure per il fuoco che hanno in corpo, come il dio Moloch che si placava arrostendo sulle proprie braccia vite umane, inveiscono contro politici, accusano tutti di razzismo, senza conoscerne il significato. Pessimo servizio fomentare l’odio “con arrogante sufficienza e fatuo semplicismo”. Pessimo servizio aiutare il male credendo di combatterlo.
Contributo di G.B. Paninforni, presidente onorario dell’Associazione Noesis