[Dopo la lettura del libro di Joe Hill Black Phone, Sperling & Kupfer]
Black Phone è un libro disturbante. Contiene racconti che lo stesso autore tende a definire horror, anche se poi le tematiche travalicano i confini del genere.
Tra le altre c’è la storia di un tizio che si sveglia una mattina trasformato in insetto – soltanto che si fa molti meno problemi rispetto a Franz Kafka. Poi c’è il ragazzino che sembra ritardato ma costruisce strutture architettoniche che incrociano dimensioni diverse della realtà. Poi c’è una sala cinematografica dove alcuni appassionati non vanno per vedere film bensì per ritrovare una certa ragazza che tende a farsi trasparente.
E poi c’è la storia che dà il titolo all’edizione italiana del 2022, e che probabilmente ha messo un po’ in imbarazzo l’editore italiano, Sperling&Kupfer. Perché l’originale è del 2005, e l’editore italiano lo pubblicò pochi mesi dopo la sua prima uscita, con un titolo aderente a quello originale (che era Ghost e in italiano divenne Fantasmi del XXI secolo).
Il motivo della ripubblicazione con titolo cambiato è che dal racconto è stato tratto un film (qualche info si trova sulla Wikipedia, online al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Black_Phone) che ha raccolto 5 nomination ai Saturn Award, premio di prestigio per la filmografia horror.
La Wikipedia ne riassume la trama, che a una prima impressione (non ho visto il film medesimo) è peggio rispetto al racconto. Nel senso che il prodotto cinematografico deve durare quasi 2 ore, per cui la storia si allunga. Nel libro, invece, il racconto dura una ventina di pagine e quindi è una mazzata compatta e quando finisce lascia un buon sapore. La sensazione che il finale sia quello giusto senza tanti patemi. Insomma, un testo potente. Bastava farlo notare, per promuovere il libro.
L’editore invece si è impappinato. Il marketing avrebbe potuto allora insistere su altri argomenti? Sì, ma non l’ha fatto – perlomeno non nella copertina e nel metatesto, che sono poi gli strumenti più immediati che i lettori possono analizzare in libreria all’atto dell’acquisto.
Per esempio, «Black Phone» è un’antologia di racconti, usciti in precedenza in riviste e raccolte. Il metatesto italiano però quasi non lo dice. Lo fa sembrare un libro più convenzionale… un romanzo addirittura. Forse per il pregiudizio dell’editoria nostrana secondo cui i libri di racconti non si vendono. Ma questo libro, in mezzo mondo, ha venduto. Al punto da meritare traduzioni in varie lingue tra cui la nostra.
Altro esempio, l’autore. Che è Joe Hill, uno dei figli di Stephen King, cioè uno degli scrittori statunitensi più famosi al mondo. Ma per lanciare la propria carriera senza sembrare un raccomandato, Hill ha tentato di sviare il discorso dalle sue origini familiari al punto da pubblicare per primo con un editore inglese, non americano.
Nonostante questo ha avuto successo, sia di pubblico sia di critica. Soprattutto come autore di fumetti (ha vinto premi Eisner, come mostra la Wikipedia nella pagina a lui dedicata, online al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Joe_Hill_(scrittore)) ma anche di racconti e romanzi.
Il punto è che nel mondo contemporaneo i lettori hanno diversi modi per informarsi (internet su tutti) prima di spendere i propri soldi per un libro. Ciò può esimere l’editore dal dare a sua volta informazioni a scopo promozionale?
Forse. Ma così la non vendita del prodotto ce l’ha già. Senza informazioni, il lettore lascia il tomo sullo scaffale. Per la vendita, beh, qualche informazione si può tentare, no…? E lo sto dicendo da lettore che il libro lo ha preso dallo scaffale, e addirittura ne sta parlando su uno dei canali di informazione a disposizione dei lettori. Quindi, insomma, l’editore non ha informato ma il risultato è come se lo avesse fatto. (Stranezze del mondo contemporaneo…).