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Dal centro di Galbiate vi conduce una strada asfaltata sulla parte che dà sul Lago di Garlate. Passa dall’Oratorio Cardinal Ferrari, prosegue fino alla Chiesetta di S. Alessandro e in leggeri saliscendi sotto le fronde di castagni, faggi, noccioli, betulle, querce, e squarci del lago. Ci troviamo alle pendici del Monte Barro.

Nell’oasi verde spunta l’edificio a pianta ottagonale, in pietra e mattoni a rustico, come fosse in costruzione. Sulla facciata si delinea il tiburio, il finestrone centrale, le aperture laterali, l’ingresso ad arco. E’ l’incompiuta chiesa dedicata all’arcangelo Michele, nella mitologia biblica capo delle schiere angeliche nonché “pesatore delle anime” in quanto atto a distinguere e dividere con la sua spada chi è carico di peccati e chi è alleggerito dalle opere buone.

L’edificio fu originariamente un Oratorio, risalente all’età lombarda. Si dice che fosse stato voluto dall’ultimo re, Desiderio, il padre di Adelchi ed Ermengarda, personaggi che abbiamo conosciuto dalla tragedia del Manzoni, di un popolo “oppressore e vinto” condannato dalla storia a scomparire, “volgo disperso che nome non ha”. I Longobardi, per il romanziere lombardo, fanno parte dei vinti, di “tante madri /che i nati videro trafitti impallidir”, cui non resta che “sguardo cercando il Ciel”, per una giustizia che non è di questo mondo. La storia però non si cancella. Riaffiora in manufatti e oggetti, in tracciati e pietre, in ordinamenti e parole, e segna tuttora la nostra vita.

A lato resta una casa vecchia e una panca di pietra, luogo di riposo e di incontri, di attese e di sorprese. Stanno seduti due anziani, lui appena uscito dalla capanna degli attrezzi, lei in attesa del lavoro ai fornelli per il pasto di mezzogiorno, ambedue disposti alle chiacchiere, lei bergamasca, lui nato e cresciuto lì. Si erano conosciuti a Lecco dove lei negli anni ’60 si recava per lavoro da Mapello, non so in che fabbrica delle tante che rendevano il capoluogo del ramo orientale lariano “la città del ferro”. Il treno che oggi viaggia semivuoto era stracarico di operai. Lei trovava posto a sedere, non più chi saliva da Cisano. Dalla stazione di Lecco usciva la fiumana di operai che sciamava in diverse direzioni, per fabbriche che si chiamavano Sae, Caleotto, Aldé, Fiocchi, Fornimpianti, Badoni. Si incrociava con gli autobus che giungevano dalle frazioni, dai paesi circostanti, dalle Valli, e con le tante biciclette, moto, scooter, uomini in giubbotti su Vespa, Lambretta, Guzzi, Gilera, Morini, Benelli. Con il ferro si faceva di tutto: chiodi, aghi, bottoni automatici, cartucce, filo in vergelle, scatolame, rivestimenti, impalcature, carroponti. Tutto si agitava tra le sei e le otto; poi la città tirava se non una boccata di ossigeno un sospiro di sollievo.

Lui scendeva la mattina presto sull’antica via che conduceva all’unico ponte romano, poi rifatto dai Visconti, e si accompagnava con gente che veniva da Malgrate o Valmadrera, prima che fosse inaugurato un nuovo ponte, il Ponte Kennedy.

Mi suggerisce di continuare per la stradicciola: Arrivi a una cappella, sono solo due passi, attraversando un prato”. Una cappella? Penso alle tante “tribuline” che s’incontrano per mulattiere e sentieri, dove si sostava nelle processioni di inizio estate, le Rogazioni, a benedire i campi recitando litanie e invocazioni per la pioggia o la protezione dalla grandine. Più che alla cappella che sembra rifatta da poco, la vista scivola sul lago, avanti e indietro, su e giù, dal Resegone all’insenatura di Vercurago e prolungo il piacere approfittando della panchina che è stata posta.

Sembra di toccare le case di Pescate, mentre a sinistra spuntano le case di Pescarenico e il terzo ponte intitolato ad Alessandro Manzoni, “Là dove il lago viene quasi a un tratto a restringersi e a prender corso e figura di fiume e  per ripigliar poi nome di lago e le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallegrarsi in nuovi golfi e nuovi seni”. Mi convinco che da qui ha scritto l’incipit dei Promessi sposi.

Tornando l’ultima volta avevo notato un cartello fuori di una villa con la dicitura “sequestro per mafia”. Non so se sia rimasto. Qualcosa stride anche qui.

Link utili:
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