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Ho seguito, dopo cena, come tanti italiani la trasmissione TV (bella) di Capodanno con Roberto Bolle, il quale ha chiuso con queste (belle) parole: “La danza e la cultura ci saranno sempre e niente potrà fermarle.” Analoghe parole (belle) quelle con cui Riccardo Muti ha concluso il tradizionale concerto in mondovisione da Vienna. Peccato che la realtà smentisca le belle parole ancorché ornate di belle e buone intenzioni. Anzitutto non è vero che “niente potrà fermarle“. Da marzo 2020 a oggi la musica, la danza, la cultura tutta si sono fermate. Eccome! Salvo pochi fortunati (tra cui ovviamente Muti e Bolle, per loro esclusivo merito) i teatri sono rimasti praticamente chiusi, così come le sale da concerto, i cinema. Ma anche, e direi soprattutto, le biblioteche di cui, guarda caso, nessuno parla mai. A dimostrazione (lampante) che la cultura di cui tutti, politici in primis, si riempiono la bocca è solo, per non dire esclusivamente, quella dei grandi eventi e dei grandi nomi.

Delle biblioteche invece, che traducono veramente l’essenza profonda e primaria della cultura patrimonio comune e di tutti, oltre che rappresentare lo scrigno del sapere umano in tutti i campi nessuno, ripeto, ne parla. Eppure costituiscono un valore aggiunto enorme e insostituibile rispetto a tutti gli altri eventi: SONO GRATUITE, APERTE A TUTTI E RAMIFIVATE SUL TERRITORIO E NEI QUARTIERI (TUTTI) COME NELLE PERIFERIE (TUTTE) DI TUTTE LE CITTÀ. EPPURE, ANCH’ESSE TRISTEMENTE CHIUSE. Da qui parte la prima educazione culturale e da qui, come ben sanno coloro che le frequentano, vengono i bambini a leggere, consultarsi fra loro e fare ricerche. Cari Muti e Bolle quello che voi fate, così come i vostri eventi, appartengono sicuramente alla cultura, alla grande cultura e che il cielo vi garantisca lunga vita. Ma, come attesta anche la cronaca di questi giorni, rimanete dei privilegiati: solo a pochi come voi che certo meritate, è stato ed è concesso di continuare a fare cultura e esprimere i vostri talenti. Solo a pochissimi come voi la radio, la televisione, i media si mettono a disposizione per far sopravvivere “qualcosa” di culturale e, a loro volta, mettersi la coscienza in pace e il fiore all’occhiello di fronte all’opinione pubblica per essere i paladini della cultura mediatica.

Ma la cultura vera è ben altro. Ma gli altri? Il 99,9% (GIOVANI soprattutto) dei musicisti, danzatori, attori, operatori vari e maestranze è a livello zero. Disoccupati da un anno e chissà quanto ancora. La maggior parte senza alcuna tutela e sussidi (o ristori come, malamente, li chiamano ora) perché liberi professionisti senza partita Iva in quanto quasi sempre pagati “a rimborso spese” (pur di sopravvivere) anche in tempi di vacche grasse. Perché non coinvolgere anche TUTTI TUTTI questi altrettanto veri operatori culturali in performance didattiche, spettacolari, arte a 360 gradi? Settimanalmente e mensilmente in modo da garantire loro lavoro, professionalità e reddito. Il servizio pubblico (almeno quello) ma anche tutti gli “altri” potrebbe destinare parte delle risorse a questo tipo di eventi culturali. Invece di rifondere tutto (milioni) in soliti grandi eventi e soliti grandi nomi. Non sarebbe così difficile. Anzi. Così come tutti i grandi Comuni dovrebbero (DOVREBBERO) destinare parte delle risorse stanziate per la cultura, ma anche quelle destinate al sociale, alla sopravvivenza (anche solo mediatica come in tempo di covid) di questa cultura di base, o di territorio, o di prossimità.

È solo questione di volontà. Volontà politica.  Altrimenti piove sempre sul bagnato. Come dicevano le nostre nonne: “Chi più ha più guadagna, chi meno ha…“. È triste constatare come la stessa legge che, per ragioni di mercato e di profitto, regola la realtà capitalista della finanza e dell’economia, sia alla base anche della cultura e delle sue manifestazioni. Non siamo così ingenui, più che altro per ragioni d’età, da non capire che in una società come la nostra tutto è sovrastruttura rispetto alla vera unica struttura rappresentata dall’economia (o dal denaro?) per cui anche la cultura deve sottostare e accettarne le conseguenze. Ma almeno vorremmo, o sarebbe auspicabile, che ci si lavasse meno la bocca con le parole, con le belle parole, e si rivolgesse l’attenzione alla cultura di base che opera sul territorio in senso ampio e più complesso e completo. Cultura di base rappresentata per lo più da giovani (e, anche qui, parlano parlano tanto di giovani…), giovani solisti o ensemble o gruppi o anche band spesso fautori di concrete e originali espressioni culturali, spesso in possesso di talento, ma destinati al limbo delle buone intenzioni e delle promesse “future“.