Diego Fusaro non smentito le attese. Il suo arrivo ad Almè è stato un successo. Il filosofo ha parlato della dignità dell’uomo nel tempo della sua riproducibilità tecnica. Ad ascoltarlo il sindaco Massimo Bandera (si è dichiarato suo fan) e il parroco don Mansueto Callioni. Un appuntamento nato dalla collaborazione tra l’associazione Noesis, l’Amministrazione comunale e la Parrocchia. Il prossimo appuntamento sempre alla Sala San Fermo (a partire dalle ore 20.30) sarà il 16 ottobre con Giuseppe Barzaghi, frate dell’Ordine Domenicano. Tratterà il tema: “Le ragioni della dignità dell’uomo”
Ecco una sintesi dei concetti espressi da Fusaro curati dal nostro collaboratore Mauro Malighetti.
Ragionare sulla dignità dell’uomo significa ragionare sull’essenza dell’uomo. Ripartiamo dai Greci per i quali l’uomo è ente finito, brotos colui che è destinato a morire, contro l’uomo di oggi che è per il superamento di ogni limite. Tra le sentenze scolpite sul tempio di Delfi, questa: medèn àgan, nulla di troppo. Socrate si occupa dell’uomo: conosci te stesso, conosci la finitudine che sei. Senza dimenticare il tutto. Nel Fedro invita il suo interlocutore a tornare in città e aggiunge, in polemica con i presocratici, “perché le piante non hanno nulla da insegnare”: cioè ora è il momento di concentrarci sull’uomo, questo è il nostro limite. Altro è la ùbris, la tracotanza dell’illimitatezza. il non rispetto delle proporzioni, delle differenze. Ciò che è concesso agli dei non è concesso agli uomini. Non ci si sostituisce agli dei come fa Aiace che finisce per scambiare le greggi per i compagni e impazzire. O come Edipo che pecca di illimitatezza perché pretende di sapere tutto, uccide il padre e gode incestuosamente con la madre. La dignità dell’uomo sta nel riconoscere la propria essenza finita.
Lo stesso tema si ritrova in Pico della Mirandola. Unico tra le creature l’uomo è fatto nella medietà, è incompiuto. Come Eros dio incompiuto sta all’uomo compiersi. Il bruto e l’angelo sono definiti, inchiodati ad essere ciò che sono. L’uomo è in fieri; è posto da Dio nel mezzo, gode di un’assoluta libertà che gli consente di innalzarsi alla perfezione divina o di abbassarsi alla condizione dei bruti. E’ camaleonte, si autodetermina nobilitandosi o perdendosi. Per Pascal la dignità umana sta nel pensiero. E’ “una canna pensante”, debole, fragile, esposto alle intemperie, ma con la forza della coscienza.
Per Fichte l’uomo deve conquistare la propria essenza. La dignità non è un dato, è un destino (Bestimmung), e richiede lavoro, sforzo. L’Io deve diventare l’IO, lavorando su di sè. Gli fa eco Goethe che modifica l’attacco iniziale del Vangelo di Giovanni: “In principio era l’azione”. E’ operare ma non in qualsiasi modo. Il vero è un dovere (Sollen) che deve essere realizzato. L’idea richiede la messa in atto nel mondo storico dello Spirito (Hegel).
E nella civiltà della tecnica? Oggi si tende a negare la natura dell’uomo, a liberarsi dalla natura, la si rende evanescente, svuotandola della vita. L’uomo è soggiogato dalla tecnica e da produttore diventa prodotto, da signore servo. Invece per Heidegger (Essere e tempo) l’uomo è essere per la morte, l’unico ente che si domanda dell’essere e della morte e che cerca un senso alle proprie azioni (in Omero gli dei invidiano gli uomini che cercano il senso di vivere). Il nostro invece è il tempo dell’oblio dell’essere, e l’uomo tecnicizzato è ridotto alla stregua degli altri enti. Precipita nell’inautenticità.
Si parla di post umanesimo, l’ “oltre uomo”, libero da limiti. Si pretende una umanità omologata in cui le individualità sono negate. La tecnica livella. Herder invece parlava di pluralità di lingue, tradizioni, costituzioni come ricchezza, modi con cui Dio cammina nelle storie degli uomini. Oggi si vede nel discorso identitario un che di pericoloso, da reprimere, come se avere un’identità non è rispettoso dell’altro; si nasconde la propria perché ritenuta offensiva. La dignità è possibilità ontologica e doverosità morale, una natura da liberare e da costruire. Si diventa più liberi e coscienti; perciò più veri perché si rispecchia ciò che si è.