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Domenica 17 febbraio 2019 – per la Chiesa cattolica “Domenica di Settuagesima”, celebrata circa settanta giorni prima della Pasqua – segna l’inizio del carnevale, che finirà il 5 marzo prossimo, il giorno di “martedì grasso”.



La Mascheràda de Berbèn

Il carnevale al giorno d’oggi costituisce svago e divertimento soprattutto per bambini e ragazzi, mentre nei secoli scorsi, sino a tutta la prima metà del Novecento, erano coinvolti principalmente i giovani e le persone adulte del villaggio. I festeggiamenti, pur avendo una durata limitata nel tempo – si svolgevano in prevalenza durante l’ultima settimana – riscuotevano un diffuso successo e rispondevano, nella forma aggregata dei gruppi festanti, alle comuni esigenze di socializzazione e di svago. Mascheramento, teatro popolare, commedia dell’arte e lingua locale sono i principali ingredienti dell’azione carnevalesca, ancora presente in alcuni gruppi festanti della valle. Spicca, su tutti, il gruppo denominato “Mascheràda de Berbèn”. Usano strumenti musicali della tradizione locale, come la fisarmonica, il baghèt e il sivlì; cantano, ballano, rappresentano scene di vita quotidiana, raccontano storie del paese, offrono oltre un’ora di spettacolo in cui il pubblico è chiamato spesso a partecipare. Sono bravi nel coinvolgere la piazza. Accanto alla risata e alle rappresentazioni a tratti burlesche e paradossali, sanno introdurre anche elementi e fatti ricchi di storia e di cultura. Essi si inseriscono in un’antica tradizione espressiva e artistica. Al giorno d’oggi, gli amici della Mascheràda de Berbèn si propongono e intervengono nelle diverse contrade della valle, un po’ come avveniva un tempo, quando cortei mascherati si aggiravano di stalla in stalla, rallegrando, ma anche beffando e schernendo le persone del posto. Di norma alle feste in maschera partecipavano i componenti maschili del villaggio e per i più giovani l’evento costituiva una preziosa occasione per ‘ndà a troà i tùse e mètes en móstra, richiamando la loro attenzione. Gli adulti, invece, si accontentavano de fà sö öna gregnàda, magari favorita da öna sbarölàda, bagnàda co ‘mpó de peciòrla.

Spesso gli uomini si travestivano in donne

I travestimenti utilizzati, alquanto semplici ma efficaci, camuffavano in prevalenza solo il viso. Ol gròs capelù sol có contribuiva a mascherare il viso nascosto da ü pessöl, ü panèt, ü tòch de carta coloràda o de rösca de pianta, e annerito con la calödèn. Il resto del corpo era in genere avvolto da lunghe gonne o da un ampio mantello, compàgn d’ü pastràno, che contribuiva a rendere ancor più misterioso e intrigante il personaggio ed eventualmente a nascondere qualcosa. Spesso gli uomini si travestivano in donne, poiché nelle maschere i due sessi si sovrapponevano, esasperando le caratteristiche di entrambi. Nessuna imitazione, dunque, di figure note o di maschere conosciute. Il travestimento era finalizzato a impedire il riconoscimento della persona, la quale alterava persino la parlàda e modificava il tono della voce, pur di non farsi riconoscere. Accolte di stalla in stalla, i gruppi mascherati a volte drammatizzavano scene di caccia, litigi, eventi anche drammatici, coinvolgendo i presenti; altre volte si limitavano a una silenziosa esibizione, senza parlare o cantare, sfidando le persone del posto a riconoscere chi si celasse dietro così curiosi e divertenti costumi: li toccavano, li facevano camminare ennàc e ‘ndrì, tentavano di carpire loro qualche parola o gesto conosciuti, per capire dal linguaggio complessivo del corpo tratti e caratteristiche di persone conosciute. Una bella sfida. Non tutti i travestimenti erano però consentiti e accettati: guai, per esempio, a indossare sul viso maschere raffiguranti sembianze animalesche, perché, secondo un’antica credenza popolare, se colui che indossava il travestimento fosse morto in tale circostanza, non poteva essere portato in Chiesa per la celebrazione funebre. “Söl vìs te gh’é sö ol batésem! Te pödet mia mèt sö la maschera de porsèl!…“, si rimproverava a chi trasgrediva questa consuetudine morale. Nel loro significato apotropaico, le maschere tendevano ad allontanare gli influssi maligni e a non inimicarsi le anime dei morti, alle quali, attraverso i travestimenti, si prestavano altri corpi irriconoscibili, ma concreti. Attraverso la maschera il mondo naturale si incontrava con quello soprannaturale, dando luogo a situazioni fuori dell’ordinario.

Le maschere anticipano la vitalità della natura

Nell’ambito di ogni contrada, compagnie di maschere allietavano le ultime serate della stagione invernale e annunciavano l’approssimarsi della nuova stagiù di lavoro per bergamini, carbonai e boscaioli. La primavera è ormai alle porte, le giornate si sono allungate vistosamente, la terra ricomincia a manifestare le proprie energie. Le maschere anticipano la vitalità della natura, la risvegliano con allegria e segnano il passaggio tra la cattiva stagione alle spalle con la nuova vita che si sta schiudendo d’innanzi. La fisarmonica, strumento musicale un tempo alquanto diffuso, preannunciava l’arrivo dei festanti e metteva in agitazione le ragazze della casa, consapevoli di essere al centro dell’attenzione dei giovani in maschera. Endà a murùse, costituiva, infatti, sì un motivo di svago, ma anche di impegno, in vista del matrimonio. Il giovanotto che partecipava al corteo mascherato, per contrade e stalle, non mancava de ardàs entùren, in cerca magari della futura moglie. Chi ‘mpó egiòcc, invece, nel sollecitare il divertimento proprio e altrui, gironzolavano con d’ü cartèl tacàt sö la schéna, con sö scrìcc: cerco moglie, anche usata. Se il palese obiettivo di non farsi riconoscere motivava la ricerca di costumi anche improvvisati, il gruppo mascherato manifestava il bisogno di esprimere qualcosa di diverso dalle solite attività proprie del mondo rurale, stando insieme agli altri e ricercando un modo di essere differente e creativo. Si esasperavano e drammatizzavano così alcuni aspetti della vita e del lavoro di tutti i giorni. I gruppi mascherati festeggiavano il carnevale esclusivamente durante le ore serali e sino a tarda notte, ad eccezione dell’ultima sera, ol martedé gràss, perché ai vöndés ùre, quando sonàa la campana che la separàa ol carneàl da la quarìsma, töcc i dùegn i gh’ìa da ès a cà sò, e töte e padèle netàde fò. L’ìa finìt ol tép de frétole. Il giorno successivo, infatti, il mercoledì delle ceneri, si entrava nel periodo che il calendario liturgico voleva sobrio e di preparazione alla Pasqua.

La maschera morta del Fenil Mascher

Sappiamo ancora dagli anziani che il carnevale, in taluni casi, serviva da pretesto per compiere offese e vendette. A tal proposito, la tradizione orale ricorda ancora oggi un fatto singolare che, data la sua gravità e la riprovazione collettiva, che aveva prodotto, è tutt’oggi rammentato nella denominazione ufficiale di una strada del villaggio, in toponomastica l’attuale contrada Fenilmascher. Riportiamo in proposito questo curioso stralcio della tradizione orale, raccolto molti anni fa da Angelo Invernizzi, già medico condotto del villaggio di San Simù: “Per quanto riguarda il Fenil Mascher la tradizione dice che in tempo di carnevale di parecchi secoli orsono, sono entrate una sera delle maschere in una stalla del posto ed hanno ballato per diverso tempo intorno a una persona che avevano messo a sedere al centro, su una sedia. Quando se ne sono andate il padrone di casa ha dovuto constatare che la maschera seduta era morta e grondante di sangue. Da questo fatto il posto venne chiamato Fenil Mascher“. A fronte di fatti analoghi, le compagnie carnevalesche erano solite farsi accompagnare e precedere da una persona a viso scoperto, la quale era garante delle buone intenzioni del gruppo. Del resto, le manifestazioni mascherate che si tenevano in occasione del carnevale hanno costituito un serio pregiudizio all’ordine pubblico costituito e all’incolumità delle persone. Nel periodo napoleonico, ad esempio, il carnevale era stato addirittura messo al bando, con espresso divieto di mascheramento, per reprimere le insorgenze popolari contro la nuova occupazione francese. Anche oggi il gioco del travestimento continua a piacere ai bambini che, attraverso le maschere, possono vivere un ruolo diverso e muoversi con spontaneità nel loro ambiente, sempre organizzati in gruppi, con molta fantasia e un po’ di libertà.

Contributo di Antonio Carminati, Direttore del Centro Studi Valle Imagna


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Antonio Carminati

Direttore del Centro Studi Valle Imagna

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