“La musica non muore mai“. Altra frase piena di retorica. Altra frase che fa e va sempre bene dirla. Tanto vuol dire tutto e vuol dire niente. Se però a pronunciarla è un imbonitore del medium catodico di fronte al quale le masse s’inchinano passivamente (del resto l’etere non ammette contraddittorio) accettando tutto per oro colato, beh allora le cose cambiano.
“La musica non muore mai” è la chiosa lapalissiana di Amadeus declamata urbi et orbi a “Domenica in” nella fascia, ovviamente, di massimo ascolto. E fin qui potremmo essere tutti concordi. Se però viene ribadita a proposito di un sempre più improbabile ma sempre più voluto Festival di Sanremo allora qualche domandina bisogna pur porsela.
Prima della domandina però, una inevitabile premessa. Il Festival di Sanremo sarebbe stato meglio, se non proprio annullarlo, almeno sospenderlo e rinviarlo a tempi migliori. Per rispetto ai morti, e fra questi anche tanti musicisti giovani e non, che hanno perso la vita per un male che ha obbligato a chiudere praticamente tutto. E per rispetto a quei milioni di musicisti, artisti, personale addetto, che da 12 mesi non cantano, non suonano, non lavorano più. Che dalla loro parte non hanno sponsor radio-televisivi-social ecc ecc. Alla faccia dei pochi soliti noti come Amadeus che, in barba agli appelli costanti degli esperti sanitari, in barba a una pandemia che non molla la presa, possono tranquillamente andare in onda, esercitare la loro lucrosa professione e tornare a casa contenti e soddisfatti. E magari pure felici.
Dunque che sia un imbonitore supermilionario a proclamare l’infinità della musica, lascia quantomeno perplessi e sconcertati. E anche un po’ incazzati se si è musicisti inattivi da un anno!
Che poi sia il servizio pubblico (benemerito per tanti altri aspetti) ad avallare simili performance, fa cascare le braccia. Un vero servizio pubblico avrebbe dovuto intervenire in prima persona a far capire al pubblico ma anche agli imbonitori che ostinatamente insistono che lo spettacolo deve continuare, che se spettacolo deve esserci si faccia pure ma in forma alternativa. Per esempio mandare in onda ogni sera un segmento speciale delle precedenti 70 edizioni festivaliere , attraverso un remake pieno di ricordi, nostalgie emozioni. Con un sostanzioso risparmio milionario da devolvere, magari verso le attività musicali di giovani emergenti, talentuosi, sconosciuti. E non nelle tasche di presentatori, ospiti più o meno illustri che comunque non necessitano di ulteriore e ben remunerata pubblicità!
Allora è lampante a tutti che non è la musica a non morire mai. Chi non muore mai è lo show business, i guadagni da nababbi riservati a pochi e soprattutto il mercato. Ecco il punto. “La musica non muore mai” significa non interrompere il business personale degli illustri Amadeus & Company, il business dei discografici e di tutto l’indotto collegato. La musica per voi tutti è un comodo zerbino con il quale pulire le vostre remore e la vostra pochezza artistica. E poi, quale musica??? La musica delle canzonette (che, per carità, è ottima cosa), della composizione casereccia e, quando va bene, d’autore autartico, neo melodico, neo jazz-pop-rock spesso uguale a se stesso e più o meno ripetitivo.
Per l’altra musica niente. La musica che obbliga 10 e anche 20 anni di conservatorio, di corsi specialistici (spesso all’estero), di acquisto in proprio di strumenti validi che quando costano poco ti chiedono 10 mila euro, di una composizione basata su complesse basi contrappuntistiche, armoniche, atonali e di raffinata orchestrazione. La musica che ti prende bambino è ti porta fino all’età adulta e ti lascia in braghe di tela, senza una dignitosa quanto dovuta professionalità, senza un lavoro, disoccupato illustre.
Perché il servizio pubblico non si occupa attivamente di questa realtà che coinvolge circa 200 mila (ogni anno, solo in Italia, si laureano 7.000 giovani musicisti nei nostri conservatori di stato) musicisti attivi e disoccupati, addetti ai lavori compresi? Perché nessun presentatore serio porta l’attenzione pubblica su questa scandalosa sperequazione tra musicisti da Sanremo e musicisti laureati?
“La musica non muore mai” va dunque capovolta: LA MUSICA È MORTA. Almeno da un anno a questa parte. E ancora non si vede quando potrà rianimarsi. Questo per il covid, sì. Ma anche per la miopia dello show business e per l’inerzia intellettuale e propositiva di chi potrebbe salvare, sostenere e curare anche con una semplice (metaforica) bombola d’ossigeno la musica e i musicisti TUTTI. Non è vero che al pubblico, alla massa, bisogna offrire sempre quello che piace e capisce. Al grande pubblico sarebbe necessario offrire tutto, anche il difficile o il complicato. In giusta dose e progressivamente. Ma senza interruzione. Altrimenti a cosa serve continuare a dire e ribadire sui giornali, in TV, nei dibattiti che la cultura è il valore più grande e più importante che ha l’Italia?
Altrimenti aveva ragione Bertold Brecht: “Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro ; dovrebbe andare in bagno“.