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Noesis ha proposto ai suoi sodali, a conclusione del suo calendario di appuntamenti filosofici, un film del 2022 prodotto in Italia, di genere Documentario diretto da Clemente Tafuri, David Beronio. Il film dura circa 41 minuti. S’intitola “La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro. Carlo Sini“. Il cast include lo stesso Carlo Sini, Florinda Cambria. E’ un racconto mette in luce le tematiche del filosofo milanese.

Parte dal discorso sulla propria identità che è una condizione inconclusa. L’uomo filosofo si costruisce, non si raggiunge né si trova, perché l’identità si gioca, è da agire, non esiste da sempre e per sempre. Il cammino del filosofo è spesso solitario e pericoloso (Eraclito). Diversamente dall’uomo del divertimento o dell’arte, della scienza o della letteratura, quello del filosofo è più problematico, lontano dalle mode e dall’urgenza del presente, critico del suo tempo e volto a guardare lontano. I commediografi trattavano Socrate come acchiappanuvole; in realtà era un terremoto, “uccello delle tempeste” (Nietzsche), a suo agio quando tutto è messo in discussione.

Si avvale della scrittura. Senza la scrittura la filosofia non sarebbe nata. Però la scrittura induce all’astrazione, segue un ragionare dialettico. La filosofia cerca qualcosa di più profondo: chi la riduce a scrittura è un folle (Platone). La scrittura illude di sapere, di possedere, di definire. Impossibile! semmai si possono prendere appunti, rimemorare, alla disperata ricerca della parola viva. La vita non è trascrizione grafica. Necessita di una visione d’insieme. Non si acchiappa con una sapienza tecnica. Si evoca perché richiama l’antico, una sapienza originaria. Si mette in scena, come il teatro greco metteva in scena il destino, la necessità, il dolore, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La filosofia ne cerca un’espressione adeguata.

Sini ha fatto sua l’intuizione di Pierce del foglio-mondo. Cos’è? Pierce parlava di sequenza, procedimento, frase come visione del mondo. E Sini traduce: in ogni gesto sta il mondo. Si contesta la visione lineare, alfabetica. Bisogna riorientarsi e dar corpo, spessore, pathos, relazione. Ogni segno illumina e si illumina. Il foglio diventa mondo, partitura da rivivere, evento che fa rinascere. E’ vortice e non binario obbligato, si torce e fa apparire, si smorza e riprende con altro.

E’ nata così l’esperienza Mechrì. E’ uno spazio in casa Sini dove il pensiero è messo alla prova. Si mettono a confronto diverse pratiche conoscitive. Si scopre un sapere condiviso.  Il modello è il teatro dove l’azione si rappresentazione e memoria. Antonin Artaud che fece un viaggio nel Messico e non per piaceri esotici scriveva all’amico in una lettera “qui ci sono le condizioni per un vero dramma”, dramma non sulla scena ma per strada.

Al teatro l’attore, nel pensiero di Grotowski, risuona nel suo corpo una voce lontana, giungono lingue ancestrali. In una lingua che noi non abbiamo inventato parlano esperienze primordiali, al di là di palchi, sipari, scene, costumi, allestimenti. Il corpo dell’attore diventa corpo tragico, e mette in contatto, si trasforma, mai si compie, dialoga e accoglie, rappresentando la vita e la morte che sono in gioco nella quotidianità della condizione umana. Gli eroi si incarnano, Telemaco e Ulisse, al mattino si va alla ricerca del padre, la sera si chiudono i conti, figure di salvezza o rovina, nella leggerezza e inconsapevolezza dell’istante. La vita si inquadra e riceve un ritmo, di battere e levare. Io voglio e chiedo, io e te, lancio la palla come Nausica e tu la rimandi, e il gioco continua, ognuno spinto dal bisogno e dal desiderio.

Sini ha raccontato della sua vocazione filosofica. Studente ordinario, senza lodi né infamie, con un padre che gli consiglia giurisprudenza giusto per assicurarsi un futuro. La madre scopre che qualcosa bolle in pentola ed è per il lasciar fare. Il professore del liceo fa da apripista. Viene qualche riconoscimento e l’occasione. Scorrono le immagini di vita quotidiana: il professore in casa, nello studio, a sfogliare libri, a scrivere o conversare, al pianoforte per la sua seconda passione sempre coltivata. La finestra si spalanca sulla città. Il sonoro riporta sibili, urla, voci di bimbi, rumori d’auto, sferragliare dei tram, abbaiare di cani, cinguettii, stormire di fronde, insieme a pause e silenzi. L’opera dei registi teatrali, che è stata presentata alla Mostra del cinema di Venezia, si iscrive in un percorso volto a focalizzare punti nodali del nostro tempo con l’aiuto di alcuni maestri del pensiero e dell’arte.