“Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito al Signore. A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi l’esempio, perché ne seguiate le orme“. (Prima lettera di Pietro 2, 21). Stavolta per il mio pensiero domenicale traggo lo spunto non dal Vangelo ma dalla seconda lettura della Messa. E dico subito, invitando ad andare controcorrente rispetto a ciò che sentiamo dirci in questi tempi, invitando cioè a stare uniti e ad abbattere le distanze che ci separano. Perché nessun uomo è un’isola e se vogliamo salvarci lo possiamo solo insieme. Mi spiego.
Nel 1947 venne pubblicato il romanzo “La peste”. In esso Albert Camus presenta l’orrore della Seconda Guerra Mondiale con il racconto di una epidemia che si è propagata nella città algerina di Orano. In esso l’autore trasforma allegoricamente i tedeschi in batteri che ci ricordano il frangente in cui stiamo vivendo, quando qualcosa di incomprensibile e difficile da dominare cala improvvisamente sull’umanità colpendola con grande crudeltà. Proprio il fatto di affrontare qualcosa di non razionale (componente quest’ultima che faceva parte della condotta nazista del Seconda Guerra Mondiale) impone un tipo di reazione che non è solo razionale ma necessità di una forte dose di solidarietà.
Quale dei sette personaggi del romanzo sopravvive all’epidemia? I loro meccanismi di difesa si indebolirono e non furono in grado di fronteggiare con successo l’aggressione del batterio. Solo quei personaggi che reagirono in modo solidale, senza pretendere un significato profondo per le loro azioni e senza aspettarsi una ricompensa, riuscirono a sopravvivere all’epidemia. Primo fra tutti il medico Rieux che andava da un malato all’altro e, benché non avesse né la salvezza in tasca né una medicina, li seguiva fedelmente. Benché fosse il primo candidato a venire colpito dall’epidemia, riuscì resistere e a salvarsi. Con la storia del medico Rieux la Chiesa oggi ci ricorda che la missione di ogni cristiano, di ogni cittadino direi, non è quella di protestare, di lamentarci, ma di metterci all’opera, pronti a dare ragione della speranza che è in noi e del Vangelo che è lievito della vita.
Il medico de “La peste” va incontro alla gente, si accosta ed ascolta. E’ lo stile del cristiano: ascoltare, strada facendo, l’inquietudine di ogni cuore, condividere la sofferenza, le gioie, le speranze, i dubbi. Tutto il contrario dell’isolamento, dell’ognuno per se, del menefreghismo. Perché fare il bene fa bene a tutti! Le cause dell’epidemia le cercheremo dopo che ci avrà lasciato in pace. Ma un messaggio lo possiamo cogliere subito: offriamo solidarietà a chi ne ha bisogno, e sono molti coloro che ne hanno bisogno già ora, così come saranno moltissimi ad averne bisogno dopo che sarà passata.
Ai tempi di Gesù, i Giudei non riconoscevano in Lui e nelle sue parole la mano e la luce di Dio. Volevano segni straordinari, miracoli, pane per appagare i loro desideri terreni. Gesù li rimanda al Padre, che dona il pane speciale, quello che dà la vita. Pane impastato col verbo “dare”. Padre Pino Puglisi era chiamato dai suoi alunni “3P” per via delle sue iniziali. Con la sua vita invece ci ricorda che 3 dovrebbero essere le “P” di ogni cristiano (sia egli genitore, insegnante, catechista, prete o laico): Pane, Parola, Poveri. Chi è alimentato dalla Parola e dal Pane di vita si preoccupa perché i poveri possano camminare a testa alta. Quali sono le tue “3P”?
Don Egidio Todeschini (Missione Cattolica Italiana di Schaan in Liechtenstein)