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Il recente Meeting ciellino di Rimini ha avuto come protagonista Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea. Le sue riflessioni sui “sussidi che finiranno” e sull’obbligo di una democrazia “di dare di più” ai giovani – non solo gravarli di un dedito – hanno pesato non poco nella situazione non consueta che stiamo vivendo. Dal suo discorso si è cominciato a parlare di ombre sul governo del premier Giuseppe Conte.  Giorgio Vittadini (colonna di CL, fondatore e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà) ha paragonato Draghi “a un Ronaldo che non si può lasciare in panchina“.

Partendo da qui, abbiamo chiesto a Evi Crotti (psicopedagogista e scrittrice, esperta di grafologia) di analizzare le figure di Conte e Draghi per comprendere, attraverso i tratti della firma e della scrittura, le caratteristiche della loro personalità.

GIUSEPPE CONTE

Si nota una notevole differenza tra testo e firma: il primo esplora l’Io individuale collegato con l’ambiente e le sue intromissioni, mentre la firma ci rivela la capacità di mettere a fuoco le potenzialità di realizzazione nel mondo, la capacità di gestire situazioni che la professione richiede. Infatti, la grafologia essendo soprattutto comunicazione ci permette di conoscere la gestione che si fa del sociale e sembra che, almeno a livello istintivo, il nostro presidente Conte ne sia ben munito in quanto possiede buona socievolezza e ricchezza di pensiero tanto da voler esplorare il mondo attraverso una logica soggettiva  (vedi lettere tutte attaccate tra loro). Le doti elaborative e astrattive che possiede gli permettono di gestire la propria vita individuale dimostrando una discreta armonia, almeno esteriormente.

Ciò che invece potrebbe tradire il nostro Presidente è la stentatezza con cui traccia la firma, dimostrando così di non possedere adeguate doti di comando, per cui, anche se il linguaggio non verbale del corpo dimostra una certa somiglianza con Napoleone, sembrano mancargli “gli speroni d’oro” vera prerogativa dei re.

In buona sostanza, la firma stentata, il tremolio del tratto e il tralasciare parti di lettere, sono tutti elementi che pongono in evidenza una certa insicurezza di base che, nei momenti di maggiore difficoltà, potrebbe creargli tensioni interiori, dirottando gli obiettivi. Forse la figura paterna, che tenta di emulare socialmente, non è stata per lui fonte di sicurezza. Egli dovrebbe assumere maggiore consapevolezza dei propri talenti, senza sprecarli nell’intento di realizzare la paternità in una ideologia di partito.

MARIO DRAGHI

La grafia è chiara ed essenziale. Mette in evidenza non solo grandi capacità intellettive, ma anche doti umane e comportamentali non inclini al protagonismo. Nulla sembra eccedere sia negli atteggiamenti sia nella manifestazione delle personali doti politiche che lo hanno reso uomo della “polis” più che della casta.

Mario Draghi emerge come leader di grande spessore per cui è sperabile che egli accetti un incarico importante a livello di gestione della classe politica in Italia poiché la sua scrittura e la firma denotano doti uniche. Ciò è favorito anche da un carattere introverso ma non chiuso, per cui sa controllare e verificare senza peccare di complessi di superiorità né d’inferiorità, anche se, molto probabilmente, in età adolescenziale può aver sofferto per una timidezza di carattere. Ciò non gli ha impedito una scalata prestigiosa e sempre nel novero della correttezza.

Per Erich Fromm gli uomini politici sono tutti presi da forme narcisistiche più o meno forti. Ebbene in Draghi, proprio per l’essenzialità del carattere, espresso da una scrittura parca e priva di ogni sproporzione, ciò non sembra essere emerso, a vantaggio di una crescita sociale e professionale che, pur gratificandolo, non lo ha spinto ad alcun eccesso.

Il bagaglio energetico appare ben costruito per cui egli riesce a tollerare bene la fatica, anche in condizioni di stress, e ciò gli permette di sopportare una buona dose di frustrazioni magari pagando con qualche punta di somatizzazione a livello dell’apparato digerente.


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