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Hans Urs von Balthasar (1905-1988) è in campo cattolico un eminente teologo, oltre a Karl Rahner, ambedue gesuiti. In un’intervista (1976) così Balthasar si differenziava da Rahner: “Lui ha abbracciato la prospettiva trascendentale di Kant, io quella organica di Goethe”. Goethe non studiava la natura classificandola in generi, specie o gruppi – come faceva il naturalista Linneo – perché così facendo avrebbe perso l’importante, quello che unisce, ciò che sviluppandosi resta identico.

Balthasar si muove nel pensiero filosofico di Maurice Blondel (L’Action) che privilegia nell’uomo la volontà sulla ragione. Il dinamismo del soggetto determina la comprensione. Contro la fredda filosofia neoscolastica, Balthasar preferisce la filosofia di Blondel perché dinamica e coglie il desiderio dell’uomo, che resta inappagato. Finché gli si fa incontro la Rivelazione: nell’amore “cristiano” l’uomo trova ciò di cui ha bisogno.

Balthasar, nato a Lucerna, non si laureò mai in teologia. Fu un germanista, grande conoscitore della cultura classica nonché musicista e innamorato di Mozart tanto che a Salisburgo gli si affidò il discorso di commemorazione nell’anniversario della nascita. L’Occidente cristiano, con la sua critica, è incapace di comprendere l’esperienza del bello, non è aperto all’apparizione delle cose e la realtà sfugge.

L’incontro fondamentale della sua vita fu con Adrienne von Speyr. La conobbe in qualità di assistente spirituale degli studenti, nell’Università di Basilea. Questa donna, tra le prime donne medico della Svizzera e dedita instancabilmente al suo lavoro, aveva una forte esperienza mistica. Queste esperienze si intensificavano nella Settimana Santa fino a culminare nel Venerdì, giorno della Crocifissione. Nacque tra Balthasar e la von Speyr un’amicizia spirituale. Si fece portavoce di Adrienne.

L’intensità delle manifestazioni mistiche si spostarono sul Sabato Santo, giorno della discesa di Gesù agli Inferi. La riflessione di Balthasar è sul Sabato Santo. Il fatto che Gesù penetra nell’Inferno è la sua obbedienza estrema. L’Inferno è il luogo dove Dio non c’è, è ciò che Lui ha rigettato e da cui si allontana, ciò da cui il Crocifisso ha liberato il mondo. Il Cristo non va negli Inferi da trionfatore, ma nell’estrema obbedienza del cadavere. Egli attraversa l’orrore del peccato. L’Inferno è morte, non vi è direzione né tempo. Vi cerca il Padre dove non lo può trovare. Eppure questo inferno è un mistero del Padre che ha dato la libertà all’uomo nel Figlio che prende conoscenza di qualcosa che fino a quel momento era riservato al Padre.

Balthasar ebbe una vicenda travagliata sia con la Compagnia di Gesù che con la Chiesa gerarchica. Se ne andò. Rimase senza reddito, rifiutando cattedre universitarie, vivendo solo in un misero alloggio.  Qualche anno dopo il Vescovo di Coira lo ammise nella sua diocesi. Impostosi già per alcuni scritti e nonostante fosse appoggiato da eminenti studiosi, come De Lubac, i Vescovi svizzeri non lo vollero al Concilio.

Gloria (Herrlichkeit) è la sua opera fondamentale. Celebra la signoria di Dio nel mondo resasi visibile nella forma (Gestalt) di Gesù di Nazareth: “Dio non l’ha mai visto nessuno, il Figlio ce lo ha dispiegato” (Giovanni 1,18). E Gesù non è solo il Crocifisso o il Risorto, è anche il cadavere del Sabato Santo, che fa l’esperienza dei lontani da Dio. Echeggia il grido di orrore di Nietzsche: “Dio è morto! Quella notte non è notte di stelle ma di desolazione“.

E’ la kenosis, la morte di Cristo come gesto d’amore. Tanti autori ne avevano parlato – Lutero (Deus absconditus) e la tradizione ortodossa – ma non con la radicalità di Balthasar. Ricupera il tema dell’analogia: c’è una somiglianza tra Dio e l’uomo, l’uomo in contatto con Dio e il mistico l’avverte. L’esperienza della Von Speyr avvicina la morte di Dio. “Lui che non conosceva peccato fu fatto peccato”. Gesù si è reso solidale con il peccato, con l’ultimo dei peccatori. Quel Dio sovrano e ovunque presente “prende una forma che non è forma, parola che è silenzio assoluto, esperienza di Dio che è il torto di Dio”. Una delle sue ultime parole: “La morte è la riverenza della nostra vita, la cerimonia dell’inchino davanti al trono del Creatore”.

a cura di Mauro Malighetti (tratto da una lezione di Giuseppe Ruggieri al Festivalfilosofia Sassuolo del 2014)
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