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La teoria della conoscenza in San Tommaso è ispirata a quella aristotelica. Alla base di tale teoria c’è un’altra teoria: la teoria dell’astrazione, secondo essa il processo con il quale il soggetto conoscente riceve l’oggetto è l’astrazione, che è una peculiarità propria della natura umana.

Commentando il passo del De anima secondo cui “l’anima è in tutte le cose” (perché tutte le conosce) Tommaso afferma che ciò non è da intendersi come fece Empedocle nel senso che noi conosciamo la terra perché siamo fatti anche di terra, e l’acqua perché siamo fatti anche di acqua, questo perché il principio generale della conoscenza è che l’oggetto conosciuto è nel soggetto conoscente in conformità della natura del concetto conoscente, che, nel caso di quella umana, è determinata dall’intelletto e dalla sua capacità di astrazione.

L’intelletto umano è una virtù dell’anima che è forma del corpo, per cui può conoscere le forme delle cose solo in quanto esse sono unite ai corpi e non in quanto ne sono separate (come pensava invece Platone). Sebbene le forme siano unite ai corpi, il processo che conduce verso la conoscenza deve avvenire attraverso la separazione della forma dal corpo, ossia attraverso l’astrazione, cioè tramite l’attività con la quale l’intelletto trae fuori l’universale dal particolare, la specie intelligibile dalle immagini singole. Non occorre quindi pretendere che il colore di un frutto sia separato dal frutto stesso per conoscerlo.

Tommaso afferma inoltre che la materia è duplice: può essere comune (o signata) o individualecomune come la carne e le ossa, signata come questa carne o queste ossa. L’intelletto astrae la specie della cosa individuale dalla materia sensibile individuale, ma non dalla materia sensibile comune. Per esempio, astrae la specie dell’uomo da queste carni e da queste ossa che non appartengono alla natura della specie, ma sono parti dell’individuo, dalle quali, quindi, si può prescindere. Ma la specie dell’uomo non può essere astratta per opera dell’intelletto dalle carni e dalle ossa in generale”.

Ne consegue che il principium individuationis che è ciò che rende distinguibile una determinata cosa dalle altre della stessa specie non è la materia comune (gli uomini non si distinguono tra loro per il fatto che hanno la carne e le ossa) ma la materia signata o più esattamente, come egli stesso dice: “la materia considerata sotto determinate dimensioni”. Così un determinato uomo si differenzia da un altro non perché è unito ad un corpo (tutti gli uomini sono uniti ai corpi) ma perché è unito ad un determinato corpo, inserito in un preciso spazio tempo.

L’intelletto che riesce ad estrarre le forme dalla materia individuale è l’intelletto agente. Ma è anche un intelletto possibile, perché non conosce, come fa l’intelletto angelico, tutto ciò che è intelliggibile, ha solo la potenza, ossia la capacità di conoscerlo. La capacità potenziale di conoscere diventa effettiva nel momento in cui diviene atto, quando l’intelletto potenziale diventa agente, il quale fa passare all’atto gli intelligibili, astraendoli dalla loro materialità.

L’intelletto non è separabile dall’anima, perché se lo fosse non sarebbe l’uomo ad intendere, ma l’intelletto stesso ad intendere l’uomo. L’intelletto è dunque elemento essenziale dell’anima umana, per questo ci sono tanti intelletti attivi quante sono le anime umane (in opposizione alle tesi degli averroisti che credevano in un intelletto unico).

Il processo di astrazione operato dall’intelletto agente garantisce la verità della conoscenza intellettuale, cioè la corrispondenza tra intelletto e la cosa. Per Tommaso la cosa naturale è misurante rispetto all’uomo (che si deve adeguare ad essa) e allo stesso tempo misurata rispetto a Dio (nel senso che si deve adeguare a Dio che è misurante di tutte le cose).

Tommaso passa poi a distinguere l’intelletto Divino da quello umano. Il primo intende la totalità della cosa con un solo atto, quello umano invece con atti successivi, cioè prima intende qualche elemento, come l’essenza, e poi passa ad intendere le altre proprietà accidentali della cosa. La conoscenza umana quindi avviene in più momenti che si susseguono nel tempo, atti di composizione o divisione, cioè affermazioni e negazioni che si esprimono mediante proposizioni. Se quindi la conoscenza divina è perfetta, quella umana è razionale, e si basa sul ragionamento, che è appunto quel processo con il quale l’intelletto passa da una composizione o divisione ad un’altra composizione o divisione.

Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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