Sono andato a Milano per la festa dei Re Magi. Era una tradizione tenuta viva in famiglia dalla mamma che aveva parenti a Milano. Venendo a trovarci di questi tempi non mancava da parte loro la domanda “Cos i ten purtà i Re Magi?” Una volta risposi: “ün aranz ma Santa Lucia la mà portà el balun”, il pallone di calcio.
Al vigile davanti alla Chiesa di S. Eustorgio ho chiesto se si faceva la tradizionale sfilata dal Duomo. Ha scosso la testa. Secondo la tradizione le spoglie mortali dei Re Magi sarebbero arrivate a Milano rinchiusi in un sarcofago su un carro arrestatosi nei pressi di Porta Ticinese. Furono custodite nella chiesa finché l’imperatore Barbarossa vinta l’indomita Milano fece trasferire le preziose reliquie nella città di Colonia. Qui è rimasto il sepolcro vuoto e l’attaccamento dei milanesi ai Sapienti d’Oriente.
Percorrendo Corso Ticinese, in prossimità della Basilica di San Lorenzo, il mio sguardo è caduto su una chiesa poco distante dove un crocchio di persone sostava. Mi sono avvicinato e sono entrato incrociando alcune donne, ognuna con il suo borsone, il fazzoletto o foulard in testa e una bottiglietta d’acqua in mano. Si segnavano e recitavano una formula. Dentro la gente si era riversata attorno al celebrante per l’ultimo gesto di devozione, sotto la fiammeggiante iconostasi con le immagini sacre. E’ la Chiesa di Santa Maria della vittoria, costruita in epoca barocca, un tempo delle Suore domenicane, ora diventata Chiesa ortodossa di Romania. Per gli ortodossi il vero Natale è il momento del Battesimo di Gesù per mano di Giovanni Battista quando la voce dal cielo consacra il Cristo come epifania o manifestazione di Dio.
Per lo spuntino siamo entrati in un bar tabaccheria che esponeva il menù dei piatti del giorno. Approfittando dell’assenza di avventori mi son messo a chiacchierare. L’argomento è caduto sulla Milano di oggi e di ieri. “Anch’io mi sono trasferito fuori” mi dice il barista, “e ogni giorno faccio la strada che ha fatto lei oggi, entrando a Milano da Sud, da San Donato al Corvetto, dritto a Porta Genova. S’immagini nei giorni feriali il traffico. Lavorare a Milano si, viverci no. Io come lui” indicando il cuoco, “siamo cresciuti negli Oratori della città. Tutto era attorno a noi, a portata di passi: la scuola, il gioco, gli amici, i parenti, gli svaghi. Come vivere con una famiglia quando hai due figli, piccoli o adolescenti, che devi portare, ricuperare, assistere nelle loro pluriattività. A Peschiera Borromeo ho tutto a portata di mano: il supermercato, gli impianti sportivi, il parco, la piscina, ma manca tutto, non c’è la comunità e tutto è da costruire. Abbiamo fatto le nostre scelte, la moglie in part time, io a fare il pendolare nel traffico di Milano la mattina e la sera.” “Non si esagera con le paure?” “Chi sta col cuor tranquillo se ha i figli in giro? Purtroppo le periferie sono a loro volta abbandonate. Il centro è a posto, ben servito, pulito, sorvegliato. Fuori ci si sente un’isola. I rapporti vanno costruiti da zero. Quando una mamma carica in macchina il figlio dà il passaggio al compagno perché i suoi genitori sono impossibilitati e così faranno loro per noi”.
“Dove andate ora?” “Siamo diretti a Piazza della Scala per una mostra sul viaggiare dei nobili tedeschi e inglesi per l’Italia, tour di piacere e di apprendimento”.
Soprattutto nel Settecento, godendo di un periodo di pace, via terra e via mare. Si facevano ritrarre a Venezia sul Canal Grande, a Roma con lo sfondo del Colosseo, a Napoli con il Vesuvio in eruzione o tra gli scavi di Pompei. Le varie nazioni si riconoscevano nelle comuni radici culturali di cui l’Italia era stata laboratorio e ne era depositaria. Li affascinava la bellezza del territorio sotto lo splendido cielo mediterraneo. Trovavano un paese di opere d’arte, neglette ma intatte. Venivano gli artisti, o li trovavano sul posto, e volevano sfondi di paesaggi, vedute suggestive, particolari già leggendari. Si parla di personaggi famosi come Goethe, Elizabet Le Brun, Winkelmann, Canova, Piranesi. Era un viaggio d’obbligo. Coronavano un sogno e ne facevano partecipi i conterranei. C’erano ovviamente i mercanti a caccia di affari nel mondo dilagante del collezionismo, tra i nobili in gara a esibire fiore all’occhiello questi ritratti.
La mostra si intitola Gran Tour da Venezia a Pompei, alle Gallerie d’Italia, aperta fino alla fine di marzo. “Speriamo che gli stranieri tornino a popolare le vie di Milano come prima” aggiunge il barista facendosi più serio “perché da questa situazione prima o poi ne usciremo, ma non so come”.
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