Biondi immobiliare

L’uomo è fatto di parole, dette o taciute, nostre e degli altri, pronunciate secondo tonalità che diventano proiettili. E’ fatto di incontri che aprono e chiudono la vita e si accumulano a strati lungo il nostro percorso.

La nostra vita è fatta di perdite, vicine e lontane, di cari e forestieri. La morte ci incalza ed è sempre contro natura o pre-matura rispetto a quel che si vorrebbe perché “gli esseri umani partono con il solo biglietto di andata, senza possibilità di ritorno” (Sartre). Noi tendiamo a tornare sempre alla madre, madre terra o madre patria, ma i nostri ritorni sono deludenti.

In che consiste la perdita?

Quando muore qualche caro il mondo si rabbuia e perde di senso, si forma un vuoto incolmabile. Da sempre l’uomo ha cercato di riparare la perdita con diverse risposte.

Qualcuno si dà sconfitto. La vita perde completamente di senso. Non è solo il dolore per il bisogno del ritorno frustrato – nost-algia da nostos ritorno e algos dolore – come Ulisse respinto lontano da Itaca. Si tratta di smarrimento, caduta della speranza, perché perdendo l’essenziale si è persi, come i soldati svizzeri che lontani da casa si ammalavano, si abbandonavano alla depressione (J. Hofer). Pur desiderosi che la persona cara torni si è consapevoli dell’impossibilità, e come in Aspettando Godot, i due personaggi Vladimir e Estragon, si resta paralizzati e impotenti, imprigionati nell’inutile assurda attesa.

Altri negano la perdita. Si pensa di risolverla facilmente: non è niente, è sostituibile, solo ci vuole di tempo o meglio un tempo accelerato. La cicatrice della vita si rimargina con l’attività, con il lavoro, con il guadagno, nella frenesia del consumismo. E’ sufficiente? Non era indispensabile quella persona? Non era unica? Così l’assenza ritorna a ingombrare, diventa un tarlo che rode e corrode.

Freud poneva un lasso di tempo in mezzo. Ci vuole tempo per elaborare il lutto. Bisogna attraversare la foresta come Zaratustra che vede il funambolo al mercato cadere dalla fune e se lo carica sulle spalle. Il lutto nasce dal ricordo e porta dolore, perciò si scioglie attraverso la memoria. Come il vento australe scioglie il gelo e tornano i fiori della primavera, così ricuperati i ricordi e presa in carico la lacerazione si torna a vivere. Ma, si obietta, basta togliere il cellulare al ragazzino iperconnesso per far tornare tutto tranquillo?

In realtà il lavoro sul lutto è interminabile. Non si pretende il ritorno ma si può fare esperienza della visita. Come le stelle morte da migliaia di anni luce continuano a illuminarci e lo faranno per altro tempo, per millenni, così il perduto non è alle spalle ma viene ancora e verrà in futuro e chi non è più con me mi tocca di nuovo. Da qui il sentimento di gratitudine.

Il filosofo Nancy lascia scritto alla morte: “non ricordatemi, portatemi con voi continuando a farmi esistere”. In Nuovo cinema paradiso l’invecchiato Alfredo e ormai cieco, il gestore del cinematografo del paese che il piccolo Totò si era fatto amico, va alla stazione a salutare l’ormai giovane compagno in procinto di seguire il proprio sogno. “Non ti voltare, non ti fare fottere dalla nostalgia” gli dice. Nella bobina che gli consegna come regalo ci sono gli spezzoni dei film che hanno accompagnato la loro intesa e che hanno fatto crescere in lui la passione per il cinema. Hanno segnato una traccia che si chiarirà e seguirà con passi sempre più decisi nel futuro.

(Massimo Recalcati a Noesis 202/23. Sintesi della lezione dal titolo La verità della nostalgia all’Auditorium Mascheroni di Bergamo, 7 febbraio 2023)