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C’è il Lario, il Sebino, il Verbano e anche il Cusio che sarebbe il Lago d’Orta, un lago minore circondato da boschi collinari. Ha mutuato il nome dalla località che sta al centro, Orta, dove sorge il Sacro Monte, venti Cappelle che raccontano la vita di San Francesco.

L’opera fu progettata alla fine del Cinquecento e nonostante i numerosi restauri mostra continuamente le ingiurie del tempo. Ci vogliono finanziamenti. Un tempo provvedevano i frati e i fedeli che dal dopoguerra accorrevano da ogni parte con il concorso delle parrocchie. Oggi è tutto un mordi e fuggi.

Venti cappelle a diversa struttura, rotonde, quadrate, rinascimentali, barocche, semplici o a più funzioni, cancellate in ferro battuto, 376 statue ad altezza d’uomo che hanno volti, espressioni, gesti, abbigliamenti, ruoli. Facce di contemporanei volte a raccontare del poverello di Assisi, dalla nascita alla morte, la sua chiamata, la scelta della povertà, i seguaci, le tentazioni, le missioni presso il Sultano e il Papa, le stigmate.

C’è la sua clamorosa rinuncia ai privilegi, nudo e insofferente davanti al padre, ossequiente e docile con il  vescovo di Assisi che lo accoglie. La cappella fu commissionata dall’allora vescovo di Novara Carlo Bescapé, un seguace diSanCarlo Borromeo che l’aveva scelto come segretario. Il Bescapé volle essere raffigurato nelle fattezze del prelato che aveva accolto Francesco.  Così voleva essere immortalato, chiamando i Fiamminghini per affrescare la cappella, Cristoforo Prestinari per le statue, sotto la sovrintendenza dell’architetto Padre Cleto, ideatore dell’intera opera.

Diversamente lo raffigura lo scrittore, anche lui novarese, Sebastiano Vassalli. Nel romanzo La Chimera la protagonista Antonia è un’orfanella cresciuta nella Casa della Carità e poi adottata da una coppia di contadini. Finisce sulla strada come tante nella stessa condizione, ai margini della società, slegata da famiglia e protettori, in balia di chi ha la parola facile, in una vita randagia tra risaioli e vagabondi, soldati di passaggio e ricettatori di reliquie.  La sua storia che sembra predestinata termina sul rogo, bruciata come strega, la strega di Zardino. Nei panni dell’inquisitore implacabile è proprio lui, Carlo Bescapé, che “si propone di cambiare il mondo”. Intende portare avanti l’opera di riforma e di purificazione da eresie e diavolerie varie iniziata dal maestro, zelante sostenitore del Concilio di Trento. Vassalli che aveva scovato la vicenda in qualche archivio la rielabora a suo modo ambientata in un paese immaginario del novarese – sarà alla fine inghiottito da una frana – ai piedi del Rosa, montagna magica anche per noi di Bergamo specialmente nelle serenate invernali.

In cima al Sacro Monte c’è l’antica chiesa protoromanica di San Nicolao da cui si gode la superba vista del lago e dell’Isola di San Giulio, un’isola felice nel tranquillo lago: la schiera delle pittoresche case a pelo d’acqua, la Basilica con il campanile medievale, il Seminario ottocentesco edificato sull’antico castello, rimasto vuoto e ora provvidenzialmente occupato dalle Suore Benedettine di clausura che fanno un lavoro di salvaguardia e restauro del patrimonio culturale.

Su questo colle, tra i castagni querce e pini, a contatto con tali bellezze d’arte fece una memorabile passeggiata Nietzsche reduce da un giro in Italia, alla ricerca di sollievo dai problemi di salute che lo travagliavano. Era arrivato in compagnia di amici, tra cui l’affascinante russa Lou Salomé. Tra i due c’era un’intesa intellettuale e qualcosina di più. Erano saliti, conversando e sostando alle varie cappelle. Poi sostarono senza parole davanti alla gemma del lago. Si trasformò in un’estasi d’amore, per Nietzsche.  Qualche parola, gesto maldestro, forse un bacio, addirittura una proposta di matrimonio. Lei aveva diciassette anni meno di lui. Pare le abbia detto: “ti devo il più bel sogno della mia vita”. Un momento felice anche di riflessione filosofica. Poco dopo avrebbe pubblicato Così parlò Zaratustra.

Mi ha ricordato questo particolare la bibliotecaria di Pettenasco, il paese che proseguendo ho visitato. Passeggiando nel pomeriggio e dopo la visita al locale Museo della tornitura del legno ho trovato la biblioteca aperta. Ho parlato con la signora e il marito che sono venuti da Milano e si sono prodigati per tenere aperto questo spazio di lettura e di incontri dopo averlo creato. Mi ha detto delle iniziative scrittori/ scrittrici che qui abitano o si ritrovano. Sono storie ordinarie, molti gialli perché pare che sul lago trovano più facile ispirazione. Alla sera avevamo la cena: la sorpresa che gli amici ci hanno fatto è stata la location, un palazzo a Miasino, sopra Orta, la Villa Nigra, una cornice colorata di eleganti loggiati, finestre e porte esaltate da fregi finti di gusto barocco e il parco disseminato di camelie, rododendri, magnolie, ortensie blu.


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