Biondi immobiliare

Questa sera mi sento vuoto dentro, rivoltato come un calzino, esausto, col fisico appesantito, dopo una giornata intensa, la mattina in ufficio, il pomeriggio nella stalla, in compagnia di vacche e pecore, e nelle sue immediate adiacenze.




Dopo aver provveduto ai primi lavori di pulizia della lettiera dei quadrupedi e trasferito gli agnelli in altro recinto, mi sono dedicato alla sistemazione delle piccole ma importanti opere di deflusso delle acque meteoriche: l’impeto e la particolare violenza scatenata dai recenti temporali hanno messo a dura prova l’articolato sistema di deflusso e scorrimento delle acque superficiali. Continua a piovere, sento l’acqua scivolarmi addosso, mescolando pensieri e sudore, mentre con pochi attrezzi e tanta forza di braccia costruisco nuovi canaletti temporanei. L’acqua s’ingrossa a vista d’occhio, cerco di spezzare la sua corsa, ripartendola in più rivoli. Non c’è alternativa: inutile stare alla finestra a guardare, occorre accettare il confronto sul campo con le acque, intercettandone il corso, per cercare di prevedere i possibili effetti devastati e porvi per tempo rimedio. Frane e smottamenti sono all’ordine del giorno e mettono seriamente a rischio la presenza in montagna di abitanti e lavoratori. Una grandinata improvvisa può pregiudicare il raccolto di un’intera stagione, ma una frana è addirittura in grado di annullare investimenti e progetti di sviluppo di un territorio costati fatica e anni di lavoro. Diversi movimenti franosi sono stati registrati in valle e molte località abitate risultano tuttora isolate. Francesco ha messo a punto alcune opere necessarie e non più procrastinabili, per porre in sicurezza l’unico tracciolino di strada bianca che conduce alla sua stalla. Il terreno macerato d’acqua diventa pesante, e, soprattutto sui versanti scoscesi e meno stabili, tende a scivolare a valle. I primi segnali del cedimento sono rinvenibili in alcune fratture della superficie del terreno, come lunghe fenditure orizzontali che spezzano la continuità e la compattezza del versante. Sotto l’imperversare della pioggia battente, armati di zàpa, zapù e badìl, abbiamo cercato di evitare l’accumularsi dell’acqua, aprendo sulla strada diversi sfoghi di scorrimento verso il pascolo sottostante. Divide et impera! L’acqua fa paura quando s’ingrossa, ma se viene frazionata in piccoli e molteplici ruscelletti, diventa più facile contenere la sua potenza distruttrice. Quante lezioni di vita ed esempi di sopravvivenza possiamo trarre dalla storia!

Berbenno. Chiusura strada per frana.

Berbenno. Chiusura strada per frana.

Se osserviamo attentamente le opere idrauliche realizzate nel soprassuolo dalle generazioni passate, tanto nei prati e campi terrazzati, quanto sulle antiche cavalcatorie, ci rendiamo conto che sono sempre finalizzate al perseguimento di due obiettivi di fondo: evitare che le acque s’ingrossino e rallentare la loro corsa a valle, facendole possibilmente scorrere sempre in superficie. Solo in casi particolari e non altrimenti risolvibili si procedeva alla loro canalizzazione, attraverso la costruzione di tombotti. Quella dell’uomo in montagna è una sfida quotidiana contro una natura ribelle e imprevedibile, quasi “dispettosa”, come in queste ultime settimane: anziché offrirci il caldo sole di giugno, tanto atteso dai contadini per la fienagione, ha aperto le dighe del cielo, scaricando sulla terra enormi quantità di acqua in poco tempo. Ormai non piove più, diluvia e grandina! Col sopraggiungere dei temporali estivi, anziché rallegrarci per il refrigerio dell’aria e la nuova ventata di linfa vitale elargita sulla natura, siamo presi soprattutto dalla preoccupazione per possibili violente precipitazioni. L’acqua passa, scorre velocemente, continua la sua corsa e non si ferma, insensibile alle nostre preoccupazioni, trascinata nel vortice della gravità. Non sempre è sufficiente frazionarne lo scorrimento in diversi rivoli per contenere la sua forza distruttrice e tutelare la stabilità del versante, anzi a volte si rende necessario evitare qualsiasi deflusso, anche minimo, nei settori di territorio più fragili e compromessi. Per questo motivo abbiamo ritenuto di costruire un piccolo sgös (sguscio, canaletto a superficie concava) a monte della strada, dove raccogliere lo scarico delle acque dai prati soprastanti e condurle in una zona meno a rischio dal punto di vista idrogeologico. Sarà un lavoro da cantierare con urgenza. Quasi due chilometri prima, all’inizio della stessa strada, sul versante soprastante il cimitero di Berbenno, una frana ha imposto la chiusura temporanea della via, isolando diverse abitazioni e attività produttive. Proprio su quel promontorio, con affaccio verso la Bassa Valle Imagna, dove spiccano i due torrioni di Roncola e dell’Ubione, seduto sulla panchina ai margini della strada, un caro amico, Monsignor Romeo Todeschini, salendo dal paese durante le sue consuete passeggiate pomeridiane, da buon camminatore quale è stato, amante della montagna e della sua valle, si fermava a risposare, prima di riprendere il cammino in direzione di Recudì. Più volte mi sono intrattenuto con lui in piacevole conversazione. In questi giorni, al posto di quella panchina, una vistosa rete di plastica rossa di cantiere chiude la strada e delimita la lingua di frana che la lambisce, impedendo a chiunque di procedere.

Don Romeo Todeschini

Don Romeo Todeschini

Una calda minestra serale non solo ha messo a tacere l’appetito, ma soprattutto ha riscaldato e rasserenato il cuore in famiglia, lenendo il peso della fatica e di tanti pensieri. Fuori continua a piovere a dirotto. La minestra è il piatto della sera, abituato a consumare sin dall’infanzia, che la nonna prima, la mamma poi, preparavano in diverse variabili. Non sempre era disponibile il brodo di carne e, in molti casi, la söpa era condita con làrd pestàt, dò patàte, ‘mpó de pedersèm e, in assenza di pasta, bastava intingere un po’ di pà sèch, ma anche la polenta avanzata dol mesdé, sminuzzata a pezzetti. I più fortunati potevano disporre anche di una spolveràda de formài de tara, acquistato dal Tata al mercato quindicinale della Felìsa. Nel periodo di piena lattazione della vaccherella nella stalla, soprattutto durante l’inverno, di frequente veniva servita la fundìna de menèstra de ris e làcc, impreziosita da una patata o, meglio ancora, dalla zucca. La panàda, considerata una sorta di ricostituente, era riservata di solito agli ammalati, oppure alle donne nei primi giorni dopo il parto, mentre l’estate, quando i lavori nei prati richiedevano la presenza di tutti i componenti della famiglia, al rientro era più sbrigativa la preparazione de öna scödèla de làcc.

Merano, Compagnia Trasporti. Fine anni Settanta

Merano, Compagnia Trasporti. Fine anni Settanta

Mirella è andata di là, nello studio, con Laura, che si sta preparando a sostenere gli esami di maturità, mentre io, seduto davanti al massiccio e lungo tavolo della cucina, occupato per metà da libri e documenti, sonnecchio con la penna in mano, mentre cerco di fissare sulla carta sentimenti e riflessioni che nascono spontanee. Dal televisore che ho di fronte mi giungono le immagini della Basilica di Assisi e ascolto le piacevoli canzoni di Gianni Morandi. “Canzoni d’amore che fanno ancora bene al cuore”, recita una di esse: mi riportano indietro nel tempo, come dentro un grande sogno, e la realtà torna improvvisamente leggera. La percezione del tempo cambia e la successione degli eventi pare essere meno invadente. Riaffiorano sentimenti profondi, si rigenerano e crescono nuove inaspettate energie. Ritornano a galla entusiasmi che parevano assopiti, visioni positive del mondo, progetti creativi e relazioni di molti anni addietro, sempre vivaci e attuali. Dentro di me riappare il sole. Accetto una sfida contro il tempo e ritorno lassù, in quella casa cittadina di Via Sant’Alessandro, sul divano a intrecciare i lunghi capelli di Rita. Passeggio con Nadia in montagna, entrambi poco più che ventenni, in cerca di funghi: le piacevano molto le mazze di tamburo e la nonna fu felice di averla conosciuta. Rivedo quella chitarra portata a Mirella, allora studentessa alle Magistrali, che andai a riprendere qualche anno dopo, per non lasciarla mai più. Cari, preziosi e dolci ricordi. Sul tavolo alcune scatole di vecchie fotografie sparse, passate in rassegna due giorni fa da Mirella, mi riportano in caserma, prima a Merano, poi a Malles, nel Quinto Reggimento Alpini: quante serate trascorse nello spaccio a giocare a boccette con i compagni della Compagnia Trasporti, che da allora non ho più rivisto e dei quali ho perso persino il nome. Chissà dove sono ora e cosa fanno, soprattutto quel Valtellinese…

Mirella, primi anni Ottanta

Mirella, primi anni Ottanta

Mi sembra di tornare a respirare, con Andrea e Mauro, Lucio, Maurizio, Fabio e molti altri, il profumo della rivolta, magari un po’ alla “garibaldina”, ma che riempiva i polmoni, come l’aria frizzante dei pascoli d’alta montagna una mattina d’estate. Li percepisco oggi così com’erano quarant’anni fa, anzi è come se li avessi salutati solo ieri sera. Il tempo è solo un’imprevedibile percezione dell’esistenza. E poi… quanti incontri, assemblee, discussioni a non finire. Bergamo, come Milano e Roma. Ecco la Palazzina Liberty di Milano e quei coraggiosi, a volte anche azzardati, programmi di controinformazione, che scaturivano dall’entusiasmo di giovani coinvolti in vivaci idealismi. Mi manca quel fermento, espressione di accese tensioni al cambiamento; forse, però, quell’effervescenza è ancora presente, declinata oggi attraverso altre forme, oppure, più semplicemente, sono gli anni che avanzano e la nostalgia ci riporta indietro a quelle esperienze che sono state più significative e che hanno determinato le nostre scelte.

Nadia e Rita. Plava 2016

Nadia e Rita. Plava 2016

In questo momento Gianni Morandi canta, sul grande prato di Assisi, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones… e, a seguire, vengono lette testimonianze di vita relative a persone che hanno vissuto situazioni difficili durante l’emergenza Covid 19. Emozioni e paure si sovrappongono, vita e morte si confrontano. Non so quanto potrò resistere ancora con questa penna nella mano, che, sempre più spesso, all’improvviso si blocca, quando le palpebre calano sugli occhi e la testa pare cadere sul foglio che ho dinnanzi. Si susseguono colpi di sonno, che sembrano avere il sopravvento, sin quando improvvisi sussulti, come bruschi risvegli della coscienza, mi riportano nel mondo razionale. Non potrò resistere a lungo. Sento indebolite le forze fisiche, la stanchezza infiacchisce il desiderio, ma, come un fiume in piena, prendono spazio i sentimenti più dolci, emergono ricordi che parevano lontani e svolgono uno straordinario effetto rilassante. Mi lascio cullare dal sogno, che sono certo continuerà tra poco ad occhi chiusi. Affaticato sì, ma ricco di felici pensieri e di cari e dolci ricordi.
Ora depongo la penna ed entro nel mio sogno.
Buona notte.

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Antonio Carminati

Direttore del Centro Studi Valle Imagna

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