Alla fine non c’è la fatta. Così come altri prima di lui, nel giro di pochi anni, anche Nicola Zingaretti lascia la guida del PD in maniera improvvisa. Le motivazioni sono da film dell’orrore. Per il Presidente del Lazio, infatti, il peso della bagarre interna che ogni volta spinge dal basso sulle nomine di qualcuno al posto di altri è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Certo, il periodo di crisi Covid con un’emergenza sanitaria in corso non è dei migliori per un passo del genere, ma a tutto c’è un limite.
Chi scrive ha la tessera dal 2011 ed in 9 anni il leitmotiv è sempre stato quello. Il nemico numero uno non era la Lega o i partiti si destra. Il problema sono le molte correnti minoritarie del Pd che hanno sempre agito come i 5 Stelle ossia da eterni guastatori in cerca sempre della soluzione perfetta che conciliasse ambiente salute, lavoro, parità, diritti, scuola, giustizia, infrastrutture, parità di genere e derivati vari. Ma come è possibile accontentare tutti e avere un minimo di disciplina interna se chi vince la primarie non ha diritto di esprimere la propria linea e far adeguare ad essa le minoranze?
Che partito è? Che organizzazione è? Non è un gruppo di persone che accetta vittorie e sconfitte della democrazia, ma solo un accozzaglia di correnti dove la maggioritaria sarà sempre ostaggio delle varie minoranze che sparano a zero su tutto alla ricerca di un mondo perfetto. Quello che manca al PD è una sola cosa: si chiama disciplina di partito. Ora, invece, è l’unico partito attuale dove ognuno può dire tutto e il contrario di tutto. Perché per le correnti minoritarie del Pd il saper perdere ed accettate la linea del Segretario è considerato un atteggiamento da irresponsabili. Come si fa a guidare un partito senza una disciplina interna chiara e rigida?
È semplice non si può. 5 segretari in 10 anni. Che vergogna!