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Abbiamo detto nell’introduzione che il buddismo, nella sua eterogeneità, ha dato luogo a diverse scuole. Vediamo le principali scuole buddiste

THERAVADA

La scuola Theravada, o “dottrina degli anziani”, è una delle maggiori scuole del Buddhismo e ha origine nell’antica India. Essa si basa principalmente sulle dottrine del Tipitaka, che è il canone buddhista più antico e costituito dalle parole pronunciate dal Buddha Gautama e dai suoi discepoli.

La dottrina Theravada pone l’accento sulla pratica del sentiero degli otto fattori (noble eightfold path) per raggiungere la liberazione dal ciclo di rinascite (saṃsāra) e raggiungere l’illuminazione (nirvāṇa). Tale sentiero prevede l’adozione di una serie di virtù, di meditazioni e di comprensioni filosofiche tra cui quelle del non-sé e dell’impermanenza. In termini di organizzazione, l’istituzione del sangha (comunità monastica) è fondamentale nella scuola Theravada ed è riconosciuta come un mezzo importante per la conservazione e la diffusione degli insegnamenti del Buddha. La scuola ha avuto molta influenza nei paesi del sud-est asiatico, come Sri Lanka, Thailandia, Myanmar e Laos, dove ha avuto un ruolo significativo nella cultura e nella vita quotidiana.

Nella scuola Theravada assume rilevanza la “realtà percettiva” che comprende:

  1. La dottrina della sofferenza o duhkha, ossia che tutti gli aggregati, sia fisici che mentali (ossia le cose o i pensieri), sono causa di sofferenza qualora li si voglia trattenere ed essi vengono meno, oppure li si voglia allontanare ed essi permangono. Ne consegue che la vita è caratterizzata dalla sofferenza, dalle difficoltà e dall’insoddisfazione, che sono intrinseche alla condizione umana. Questa sofferenza può essere causata dalla nascita, dalla malattia, dal dolore, dalla vecchiaia, dalla morte, dall’attaccamento, dal desiderio e dalla tensione, tra le altre cose.

Secondo il buddismo, l’essere umano cerca sempre di soddisfare i propri desideri, ma poi alla fine si rende conto che essi non possono mai essere appagati completamente e che la felicità che cerca è momentanea e passeggera. La dottrina del duhkha afferma che la sofferenza può essere superata solo attraverso la comprensione della sua causa e l’eliminazione dell’attaccamento e del desiderio.

Il buddismo insegna anche che l’ignoranza è la radice della sofferenza. L’ignoranza in questo contesto non significa mancanza di conoscenza, ma piuttosto la percezione distorta della realtà. In altre parole, la realtà viene percepita attraverso un filtro che distorce la percezione delle cose e crea un attaccamento che alla fine porta alla sofferenza. Per questo, secondo il buddismo, la sofferenza può essere superata solo attraverso la comprensione della sua causa e la pratica del nobile ottuplice sentiero.

  • La dottrina della impermanenza o anitya, secondo la quale ogni cosa che è composta di aggregati (fisici o mentali) è soggetta alla nascita ed è quindi destinata a decadere ed estinguersi quando gli aggregati che la compongono decadono e si estinguono.

Inoltre, la dottrina dell’anitya implica che tutto ciò che sperimentiamo nella vita, dalle cose positive alle cose negative, ha una natura transitoria. La felicità, ad esempio, è destinata a finire, mentre il dolore e la sofferenza sono temporanei e alla fine passeranno.

Secondo il buddismo, la comprensione profonda dell’anitya è uno dei principali requisiti per raggiungere la liberazione dal ciclo interminabile di nascita e morte. Rendendoci conto della natura impermanente di ogni cosa, siamo in grado di abbandonare le illusioni e liberarci dalla sofferenza che deriva dall’attaccamento alle cose materiali e dalle aspettative che ci creiamo. La riflessione sull’impermanenza ci ricorda l’importanza di godersi ciò che abbiamo nella vita, invece di concentrarci esclusivamente sul futuro o rimpiangere il passato. In questo modo, possiamo imparare a godere del momento presente e ad apprezzare la bellezza e la gioia della vita, senza preoccuparci troppo del futuro o di ciò che oramai è passato.

  • La dottrina dell’assenza di un io eterno e immutabile, la dottrina dell’anatman, quale conseguenza di una riflessione sui due punti precedenti. Essa sostiene che non esiste un’entità o un io permanente e immutabile nell’essere umano. Invece, ciò che definiamo come il nostro sé è composto da parti o aspetti in continua evoluzione, come pensieri, emozioni, sensazioni e percezioni. Secondo questa dottrina, il concetto di ego è una costruzione mentale creata dal nostro attaccamento e dalla nostra identificazione con questi aspetti mutevoli della nostra esperienza. Questo attaccamento al sé illusorio è considerato una delle principali fonti di sofferenza nell’esperienza umana.
  • La dottrina della coproduzione condizionata, o pratītyasamutpāda. Il pratītyasamutpāda è un concetto centrale nella filosofia buddhista che significa “interdipendenza condizionata” o “origine dipendente”. Si riferisce alla dottrina secondo la quale tutte le cose hanno un’esistenza dipendente dalle altre cose e che nulla esiste in modo del tutto autonomo o indipendente. È una legge che ci insegna come tutti gli esseri viventi e le cose sono interdipendenti e connessi tra loro in una complessa rete di cause ed effetti. Ciò significa che ogni cosa esiste solo in relazione agli altri fenomeni e che nulla esiste in modo assoluto o permanente.
  • La dottrina della vacuità, o śunyātā. La dottrina del śunyātā o dell’ “assenza di entità intrinseche” afferma che tutti gli esseri e le cose sono privi di un’essenza permanente e auto-esistente, che solitamente viene interpretata come un’anima o un io individuale e distintivo. Secondo questa dottrina, tutto ciò che esiste è interdipendente e mutabile, e non ha una natura intrinseca. Ogni cosa e ogni essere sono determinati da cause e condizioni, le quali a loro volta sono effetto di altre cause e condizioni, in un processo senza fine. Questa concezione implica due importanti verità: non esiste un io fisso e immutabile che possa essere identificato come “me stesso”, e che tutti gli esseri e le cose sono uguali e interconnessi.

In sintesi, la dottrina del śunyātā invita a considerare le cose e gli esseri nel loro insieme, nella loro totalità, piuttosto che in modo separato e divisivo, e a sviluppare una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza e della mutabilità di tutto ciò che esiste.

MAHAYANA

A scuola Mahayana, chiamata anche Grande Veicolo, è una delle principali scuole del buddismo che si è sviluppata in India nel I secolo a.C.. Si contrappone alla scuola Hinayana, o Piccolo Veicolo, per la sua visione più inclusiva rispetto alla salvezza degli esseri viventi.

La scuola Mahayana mette l’accento sulla Buddhità, ovvero l’idea che ogni essere vivente possiede in sé la natura di Buddha e che, attraverso la pratica del Dharma, questa natura può essere sviluppata e raggiungere la piena illuminazione. Inoltre, la scuola Mahayana incoraggia la pratica della compassione e dell’altruismo, in quanto ritiene che l’illuminazione non sia solo un obiettivo individuale, ma anche collettivo, per aiutare tutti gli esseri viventi a liberarsi dalla sofferenza.

Tra le scuole Mahayana più diffuse troviamo il Buddhismo Zen, il Buddhismo Tibetano e il Buddhismo Nichiren. Queste scuole accomunano l’idea centrale della natura di Buddha presente in ogni essere vivente e promuovono la meditazione come pratica essenziale per sviluppare la consapevolezza e la compassione.

VAJRAYANA

La scuola Vajrayana è una delle tre principali scuole del buddismo (le altre due sono la scuola Theravada e la scuola Mahayana). Il nome “Vajrayana” significa “veicolo del diamante” e fa riferimento alla capacità di questa scuola di tagliare, di rompere l’ignoranza e le illusioni per raggiungere l’illuminazione.

La scuola Vajrayana proviene principalmente dal buddismo tibetano ed è caratterizzata dall’uso di pratiche avanzate come la meditazione tantrica, il mantra la visualizzazione e il lavoro con le energie sottili del corpo.

Uno degli aspetti distintivi di questa scuola è l’importanza data al guru, o insegnante spirituale, che guida il discepolo attraverso le pratiche di meditazione e lo aiuta a sviluppare la propria consapevolezza e comprensione.

La scuola Vajrayana crede anche nel potere dei simboli sacri, come i mandala e le divinità, che rappresentano specifici aspetti della mente illuminata. Questi simboli vengono utilizzati nella meditazione per aiutare la mente a concentrarsi e ad aprirsi all’illuminazione. È una scuola impegnativa e richiede una forte disciplina personale ma promette la possibilità di raggiungere rapidamente l’illuminazione.

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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