Nel XII secolo le opere di Aristotele furono tradotte in latino e cominciarono ad essere studiate all’Università. Nei primi tempi la reazione prevalente fu di ostilità, Aristotele fu infatti ritenuto contrario alle credenze fondamentali del Cristianesimo. In particolare la tesi dell’eternità e della necessità del mondo, contrarie alla credenza della creazione e della libertà dell’uomo. Così come la tesi dell’intelletto, contrastante con il principio della immortalità dell’uomo.
Il primo degli oppositori fu Guglielmo di Alvernia, professore di teologia all’Università di Parigi. La tendenza, graduale, fu, comunque, di affermazione dell’Aristotelismo, nonostante le autorità ecclesiastiche cercarono di impedirne la diffusione. La conseguenza di questa diffusione fu che la Scolastica si irrigidì nelle sue posizioni filo-neoplatoniche e agostiniane, anche se in realtà si tentò di “inserire” nelle tesi scolastiche alcune teorie aristoteliche, pur negandone i principi fondamentali.
In tal senso si impegnò Alessandro di Hales che fu il primo rappresentante dell’ordine francescano nell’Università di Parigi. La sua pretesa fu di riassumere l’intera tradizione della Scolastica al fine di arginare l’affermarsi dell’aristotelismo. Un altro celebre oppositore all’aristotelismo fu un certo Roberto Grossatesta che propose un ritorno all’agostinismo e in particolare alla teoria della conoscenza come illuminazione divina: “Come gli occhi del corpo – egli dice – non possono vedere i colori se non sono illuminati dalla luce del sole, così i deboli occhi della mente non vedono nulla se non per luce della Verità somma”. I contenuti più originali del pensiero di Roberto riguardarono però la filosofia naturale. Egli affermò che lo studio della natura dovesse essere fondato sulla matematica. Ritenne, inoltre, che la luce fosse la forma prima dei corpi, cioè la loro essenza corporea. L’analogia proveniva dal fatto che sia la luce che la materia si diffondono nelle tre dimensioni dello spazio.