In Val d’Imagna guardano in cima al Resegone con la speranza, ormai frustrata, di intravedere un cumulo di nubi a coprire la successione seghettata delle vette. Scrutano, con il naso all’insù, fedeli a quella saggezza popolare che quande ol Resegù e l’gh’à sö ol capèl, mèt dó la ranza e tö sö ol rastèl (Quando il Resegone ha il cappello, metti via la falce e prendi il rastrello). Però di “cappelli” carichi di pioggia in queste settimane se ne sono visti molto pochi.
Le rogazioni per la pioggia a Almè
Piuttosto aumenta la preoccupazione, non solo contingente e non solo in valle, della mancanza d’acqua e della conseguente siccità. La scienza in questo caso è impotente a parte le torride previsioni dei portali meteo. Quindi, chi conserva ancora un minimo di senso religioso si affida alla preghiera e in particolar modo alle rogazioni per la pioggia. Parola desueta ma rispolverata dagli scantinati dello Zingarelli per alcune iniziative in provincia, l’ultima ad Almè, per invocare il dono della pioggia. E sembra che le preghiere di quelli di Almè abbiano funzionato visti i temporali di questi giorni.
E così nel terzo millennio, votato alla retorica dell’homo technologicus, si riscopre gente sudata e salmodiante, in lenta processione dietro al preòst, a invocare la clemenza del cielo, la feracità della campagna e il benessere corporale. Le rogazioni (dal latino rogare, chiedere pregando) altro non sono che processioni dove impetrare coralmente da Dio la protezione dei campi, delle piante e del bestiame contro i capricci del tempo come grandine, alluvioni e il suo contrario: la siccità. Furono introdotte a Roma nell’anno 816 da Papa Leone III e poi diffuse in tutta la cristianità. A fulgure et tempestate, a peste, fame et bello, libera nos Domine, Te rogamus, audi nos (Da fulmine e grandine, da peste, fame e guerra, liberaci Signore, Te lo chiediamo, ascoltaci). Era l’invocazione più nota delle rogazioni, suddivise in maggiori (il 25 marzo) e minori (i tre giorni precedenti la festa dell’Ascensione), che affondano le radici in epoche pagane antichissime e fatte proprie, poi, dal cristianesimo.
Pur essendo quasi scomparse, il Benedizionale revisionato nel 1984 da Papa Giovanni Paolo II prevede la loro celebrazioni in alcuni momenti particolari come questa vampa estiva senza groppi con il suo seguito di emergenze al pronto soccorso, ordinanze dei sindaci per limitare l’uso dell’acqua e l’assalto alla grande distribuzione per far scorte di minerale. La signora Lisetta di Vertova, ottantenne vispa, le rogazioni della giovinezza se le ricorda tutte. “Il giomo di S.Marco, il paese celebrava le rogazioni maggiori. Si andava fino agli oratori campestri portando in mano i broch ‘e muru ossia i rami di gelso, le cui foglie costituivano l’alimento dei bachi da seta (i caalér), che venivano allevati nelle nostre case contadine. Allora erano quelli i bonus a sostegno del reddito familiare e troppa pioggia o cielo troppo asciutto erano grosse “sfighe”. Mi ricordo che il corteo dalla chiesa parrocchiale si spingeva fino al Serio raggiungendo l’antica cappella della Santa Croce”.
La tradizione della Valle Brembana per le rogazioni
Stessa storia in Valle Brembana: pratica talmente radicata da diventare tema centrale di un numero del bollettino curato dal centro storico culturale. Quando la situazione era grama agli abitanti non rimaneva che affidarsi al buon Dio, ai santi protettori, affinché accordassero quanto meno una pur minima possibilità di raccolti agricoli. Nel volume si possono scorgere le tante litanie che caratterizzavano le rogazioni. Il Tino di Zogno i bollettini li ha tutti. “Guardi, guardi – mi dice con l’indice puntato sulla pagine – … A fulgure et tempestate, libera nos Domine! (Dal fulmine e dalla tempesta liberaci o Signore!). Ut fructus terrae dare et conservare digneris, Te rogamus, audi nos! (Degnati di darci e conservarci i frutti della terra, Ti preghiamo, ascoltaci). In pratica si camminava ripetendo queste cantilene. Di solito in primavera, il mattino presto dopo la messa prima, quando si andava a lavorare nei campi. Fino agli anni sessanta del Novecento è stato così e in alcune valli confinanti con la Valle Brembana la consuetudine si protratta anche fino ai primi degli anni 80”.
E non si dica che erano solo pratiche di montagna. L’Anselmo, impegnato in un abbondante aperitivo al parco della Malpensata, ricorda che a Redona, le Rogazioni hanno resistito fino al 1969. “Di fatto – afferma l’ex impiegato comunale – sono sempre in voga nella parrocchia di Colognola. Si tengono a fine aprile con un momento di preghiera e la Messa in sei luoghi diversi una volta la settimana: San Pietro ai Campi, San Sisto in Agris, cascina Costantina, chiesa parrocchiale, Madonna del Rastello e in una zona un tempo agricola”.