Il primo libro, Quel pasticciaccio brutto di via Merulana, mi ha più convinto. Si tratta di un delitto, un fatto di sangue. I prodromi stanno in un furto con sparatoria, nello stesso stabile di quella via. La città è Roma. A caratterizzare il momento storico basta l’accenno di “quel gran ritratto de Quer Tale appeso al muro” del Commissariato. Sono sentiti gli abitanti del palazzo. Ne esce una carrellata di macchiette. I primi sospetti cadono sul commesso, “er garzone der macellaro” venuto a portare il prosciutto ad un’inquilina. Subito smentiti: “no! quello più sbarbatello, questo – visto uscire di fretta – “è bono p’annà a fa er soldato”.
Con il sovrapporsi di deduzioni, supposizioni, fantasie, ricordi, dietrologie, che la vita condominiale offre, nel miscuglio di lingue, età, uomini e donne. Un accenno diventa battibecco: “La portiera… lei che…” dice la Menegazzi, “Lei che?” fece la titolare del portierato minacciosa. E chi aveva parlato, cioè l’Angeloni, “si ritirò di nuovo nel suo guscio come una lumaca lasciando fuori solo il naso”. Con sovrabbondanza di romanesco che fa pensare al Belli. Personaggi vivi, reali, freschi, sembra di toccarli. La maestria di Gadda è insuperabile.
Tre giorni dopo il fattaccio. Un milite corre trafelato dall’incaricato delle indagini, l’Ispettore Ciccio Ingravallo: “E’ successo un orrore!” Sulla stessa scala, allo stesso piano, è trovata una donna – l’Ispettore la conosceva – con la gola tagliata. L’indagine sarà un viaggio dantesco, man mano ci si allontana dalla città dei palazzi e delle chiese settecentesche, verso il degrado della periferia, alla ricerca dell’assassino, tra postriboli e case squallide, per luoghi dove la miseria umana si mostra. Il racconto termina in una stanza, “un lezzo di panni sudici e di feci male accantonate”, davanti ad un letto “su cui è disteso un corpicciattolo, non si capiva se omo o donna”, un moribondo. Contro lei, l’indiziata, la domestica Assunta tanto favorita dalla vittima, si scaglia l’Ispettore: “Fuori il nome!” urlò don Ciccio e lei con un grido: “No, sor dottò, no, nun sò stata io!”
C’è sintonia con il Manzoni: la pietà per i poveri, gli sfruttati, che hanno anche un volto diabolico, come i bambini che si divertono a tormentare le lucertole. Gadda è solidale e crudo. Pagine che mettono in croce il lettore. Tante volte bisogna tornare indietro senza acchiappare un moscerino. Ci si sente davanti al prestigiatore e noi ad alzare la carta sbagliata. Sembra che lo scrittore lombardo abbia in mano un dado, su ogni faccia una parola, magari in romanesco o in dialetto brianzolo, che fa rotolare e il suo discorrere passa da una considerazione all’altra secondo la faccia che viene. Se si è tenaci, pazienti si prosegue, e si trova soddisfazione.
Il libro La cognizione del dolore ha richiesto più fatica, andirivieni senza frutto. Ma bastano le trenta pagine finali a ripagare. Il figlio, che unisce l’odio verso sé stesso assieme a quello verso chi l’ha generato. Se n’è andato. La madre l’aveva salutato “con l’amore che si palesava dal tentativo del sorriso, dalla tensione degli occhi che l’età aveva fatto presbiti”. Lui “divorato da un male tanto profondo da non poter indovinare dove si annida la parte oscura, preso da una collera sorda”, costretto a vivere in un mondo che lo fa vomitare.
Il finale presenta il Bruno e il Gildo, due cugini che vanno di notte a controllare la villa della signora, la madre appunto, lavoro per cui sono stati assoldati. Balordi a dir poco, basta dire che uno dei due, il Bruno, aveva “regalato una coltellato ad un certo zio per una certa asparagiona di una tipa”. Sono soliti a fare un giretto, prima di rintanarsi alla locanda per una briscolata. Trovano il parco cheto. Tutto tace per la civica strada, il sentierino, oltre il muriccio, accanto alle altre ville dei vedovi o delle vedove che le occupano. Sembra di essere nella scena dei bravi appostati fuori dalla casa di Lucia. E’ un silenzio sospetto e “decisero di dare l’allarme”. Prima balbettando poi gridando entrano e scoprono “sotto le coltri, come dormente, il capo riparato, un drappo che subito appare come nascondere la morte”, lei sfigurata. “Povera signora, povera signora” sono le parole della carità naturale della gente. In poche righe siamo passati alla Pietà di Michelangelo.
Nel leggere Gadda si affonda nell’esperienza straziante della realtà umana, da ingegnere abituato a vedere nell’animo, come quando andando dal panettiere dell’angolo Gadda trovava un mondo di scrittura. Adesso che sono arrivato alla fine mi sono attrezzato di biografie, commentari, critiche. Li leggerò per capire dove io non sono riuscito. Uso lasciare i libri interessanti che ho letto in una zona tra i vari armadi, ripiani, scatole, tavolini, pensili sparsi. Non regalerò questi due romanzi come faccio per altri. Li lascerò nascosti, dietro la doppia fila o sepolti sotto gli altri. Se poi dovessi incontrarlo, lui Carlo Emilio Gadda, in una seconda vita, me ne starei distante, intimidito, ma con un po’ di rancore dentro.