Risponde con pause, “siamo volontari, vecchi e ci teniamo”, dice la guida. La voce bassa, non mette troppa carne al fuoco, ma frasi succose. Si ascolta volentieri. La testa tende piegarsi a raccogliere il pensiero prima di rispondere. Verifica il consenso con il movimento degli occhi più che del capo. Rimane il dubbio: con il tramonto di questa generazione non rischia di perdersi anche la bellezza?
Come per questa chiesa che nacque dal lavoro, dal commercio e ovviamente dalla fede. Già nel Trecento gli abitanti di Gandino cercavano per i loro traffici vie meno taglieggiate. Pesanti pedaggi e forte concorrenza trovavano a Sud. Dopo Bergamo c’erano i ricchi comuni lombardi e Milano. Cercarono a Nord. Pur pagando il passaggio ai Suardi del Castello di Bianzano, scesero al Lago d’Endine e poi al Lago d’Iseo, per la Valcamonica diretti al mondo germanico.
Nel Seicento costruirono la Basilica di Gandino. Una famiglia, quella dei Giovanelli, se ne fece carico. Aveva raggiunto una posizione importante presso gli Asburgo, al tempo delle Guerre di Religione, la terribile Guerra dei Trent’anni quando si scontravano grandi eserciti. Servivano divise militari. Le famiglie gandinesi fornirono pannilana in gran quantità. Si facevano brache o camiciotti a manica larga, giubboni e mantelli che coprivano il corpo del soldato nella bella e nella cattiva stagione. Sui monti attorno pascolavano le pecore e in paese si svolgeva la lavorazione, dalla raccolta alla filatura. C’erano lavatori, follatori, tintori, cimatori. Oltre che donne per la filatura e torcitura ci volevano operai con i telai di lavorazione. Dietro i Giovanelli si aggregarono le altre famiglie di Gandino.
Il commerciante gira, guarda e confronta, fa il prezzo, compra da una parte per vendere dall’altra. Prende le idee e a casa le mette in pratica. Quando tornavano i gandinesi portavano ricchezza e novità e avevano sempre un dono per la chiesa, un segno di riconoscenza del successo e per lo scampato pericolo. Abbellirono la Basilica di Gandino avvalendosi, oltre che di maestranze locali, di pittori, scultori, architetti provenienti dalla Lombardia, da Venezia, da Napoli, da Bolzano, dal Belgio, dalla Germania.
Gli arazzi che ora sono eccezionalmente esposti per festeggiare i 400 anni dalla posa della prima pietra vennero dalla bottega dei Mattens di Bruxelles e raccontano episodi della Madonna con un gusto descrittivo e naturalistico proprio dei fiamminghi.
L’altare d’argento custodito nel Museo ed esposto sei volte l’anno in occasione di particolari festività fu commissionato dalla Confraternita all’orafo tedesco di Augusta, Georg Reuser. Per non farselo portar via da Napoleone lo riscattarono con il relativo costo dell’argento impiegato.
Nella Basilica di Gandino ebbe un posto di rilievo il pittore milanese Giacomo Ceruti, famoso per i ritratti di vagabondi e emarginati, perciò soprannominato “il Pitocchetto”. Lavorò per due anni su figure di profeti, apostoli, episodi mariani. Si conserva ancora il registro dei pagamenti in corso d’opera da parte della fabbriceria parrocchiale. Il pittore che era stato a Padova e a Brescia era giunto onerato dai debiti.
Il Loverini, futuro Direttore dell’Accademia Carrara, qui era nato e cresciuto, lavorò per la sua chiesa. Il paese l’aveva visto crescere ed affermarsi da umili condizioni. Il papà era sarto. Al colmo della fama lui che di nome era Ponziano come uno dei Santi protettori, si raffigurò nel quadro dell’Assunta dell’altare maggiore e “i suoi compaesani gli tributarono grandi onori alla morte”.
I gandinesi tornavano e abbellivano le cappelle della Confraternita cui appartenevano. Ne sono rimaste ancora cinque che compaiono con la propria livrea nelle varie processioni. La Confraternita della Madonna del Carmine ha sede nella Chiesa di Santa Croce, a pochi passi dalla Basilica, come se ogni via avesse bisogno della sua chiesa. Risalta la luce che penetra dal loggiato dei tre finestroni e lascia in penombra il resto, la ricca decorazione barocca, i due altari laterali, i quadri, le statue e la deliziosa cappella dei confratelli con uno splendido altare dei Fantoni.
Un bel pomeriggio d’arte dopo la mattinata trascorsa al fresco sul Monte Farno dove pascolavano le pecore di razza alpina che dava lana per i famosi panni. Ho incontrato brianzoli, milanesi, francesi. Quelli della valle in coppia o col cane, a passeggio o in allenamento, si richiamano e salutano. C’era fino a pochi anni fa una colonia gestita dalle Suore Orsoline e anche i Radici vi mandavano i figli dei propri dipendenti. Una casona deserta che prima o poi sarà abbattuta.
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