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Riprendiamo il mito di Prometeo (Eschilo, Prometeo incatenato, trad. Carlo Carena). Come si configurano libertà e necessità? Zeus, nel sommo Olimpo, sembra l’unico libero: gli altri dei sono vincolati ai loro compiti. Ma è un dio geloso. Lui è servito da Kratos, il potere, e Bia, la forza. Ha spodestato i Titani e li ha precipitati nel Tartaro, in ciò aiutato da Prometeo. Zeus rivendica l’assolutezza.

Prometeo no, è sofferente come gli umani, “incatenato al baratro, flagellato dalla tempesta”, tanto da esclamare “miglior sorte è non essere nati”.  Però conosce e per estorcere quanto sa, Zeus manda Hermes. Zeus vuol sapere cosa sa – Prometheus  o colui che riflette prima – circa la vociferata deposizione del nuovo re degli dei. Di fronte al modo arrogante del messaggero, Prometeo risponde che non cambierebbe la propria sorte con una condizione di servitù.

La sua libertà non è di tracotanza né di capriccio, è la libertà di chi vede lontano, guarda avanti raccogliendo il passato. Il successo non deve abbagliare: “freschi da ieri regnate” dice a Hermes riferendosi a Zeus e alle altre divinità “installati in rocche, inaccessibili al dolore. Non vidi forse già due tiranni (Saturno e Urano)? Dovrei tremare?” La libertà è scegliere e assumersi le relative conseguenze. E’ scelta d’amore, “per i viventi che vivono un giorno soltanto come le farfalle”. Libertà è fedeltà a se stesso, al desiderio che si persegue. Può trovare mali e dolori ma è “situazione prevista e ponderata”.

La sua libertà non fu azzardo. Fu un guardare al di là, un progetto di condivisione che Zeus volle annientare. Fu progetto al di là di gelosie, senza badare a ragioni di convenienza o di clan.  Si unì a Zeus perché era portatore di una diversa sovranità. Zeus non mangiava figli come Saturno né li scaraventava nel centro della terra come Urano. Li proteggeva, come Dioniso cucito nella coscia o Atena partorita dalla sua testa.

Così lui, Prometeo. Raccolse il fuoco divino non per distruggere ma proteggere esseri umani indifesi, “pacchi di argilla”, dando loro una nuova possibilità di vita. “Io mi piegai per pietà”. Non sarà lui a godere. “Il tuo gesto d’amore – gli dice il Coro delle Oceanine – è rimasto senza amore riconoscente degli umani”. Prometeo si sente solo e si rivolge alle forze naturali: “Oh Etere divina, aure, sorgenti di fiumi, onde marine, terra di ogni essere, sole del cielo: guardate la mia sofferenza per mano degli dei!”. Chiede compassione, condivisione come sa fare l’animo femminile.  Le Oceanine rispondono: “Quando abbiamo sentito il martello rimbombare non abbiamo resistito e siamo qui a soffrire con te”.

C’è pure Io, la sacerdotessa di Zeus, che ha subito la foga del suo dio. Non solo, trasformata in giovenca e costretta a peregrinare fuori di senno perché punta dal tafano, per luoghi impervi. Io e Prometeo si parlano, un dialogo tra delirio e senno. La sacerdotessa chiede: “Finirà il mio errare?” Si consoli, risponde Prometeo, anche lui dopo lunghe erranze si è ritrovato. La corifea si frappone: “Non temere! amica è la schiera”. E a Hermes: “Allontanati da qui! Parla altrimenti! Io voglio soffrire con lui”.

Come concludere? L’eroismo di Prometeo non è retorico. La sua libertà entra nelle spire di catene fissate e trova uno spazio di contestazione. Non resta schiacciato dalla necessità. La libertà persiste, pur non riuscendo a ridisegnare il necessario, è agire secondo l’essere che si è (Spinoza). La libertà vuole l’assolutezza, ma non è capriccio. La libertà è scelta interiore. H. David Thoreau con l’esperienza di un giorno di carcere aveva capito quanta umanità c’era là dentro e l’assurdità dei muri che dividevano da chi è fuori, “là in ceppi è il mio posto”.

Sartre gli fa eco: “Non siamo mai stati così liberi come sotto l’occupazione nazista, senza diritti, costretti a tacere, in una situazione umana che in epoche fortunate non avevamo conosciuto. Abbiamo capito il senso della finitezza. Non privilegiati ma gente comune che sa dire di no, al confine della libertà. Dover resistere soli, davanti al boia, al potere smisurato di chi ha l’apparenza di ragione, combattenti che difendono altri, consapevoli che una parola avrebbe portato a cento arresti. Un esercito di uguali, ciascuno nel suo ruolo, essere se stessi nella libertà, per tutti, all’alba di una nuova repubblica che sappia conservare le virtù del silenzio e della notte“.


A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione di Claudia Baracchi, Università degli Studi di Milano dal titolo “L’assoluto della libertà” dell’1 dicembre 2020 nell’ambito della programmazione di Noesis).

 

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