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Sono pagine che presentano solo fatti, nomi e luoghi di quello che è stato il 1945 a Bergamo e nelle valli. Osvaldo Gimondi, con il suo certosino lavoro di ricerca storica durato oltre dieci anni, ha prodotto un prezioso volume di cinquecento pagine edito dal Centro Studi Francesco Cleri di Sedrina. S’intitola La nuova alba è anch’essa rossa di sangue e cupa di odio. Si riportano le scelleratezze dei fascisti (tante e ignominiose) e si aggiungono le crudeltà ingiustificate di alcuni partigiani perpetrate dopo la Liberazione. Atti sommari di sangue troppo spesso taciuti e nascosti dentro le celebrazioni e le narrazioni retoriche di quel tumultuoso spartiacque storico. Per questo le pagine di Osvaldo Gimondi costituiscono un documento coraggioso, lontano da velleità revisionistiche, ma che toglie quella cipria ideologica dall’incarnato della storia locale consegnandoci la verità “nuda e cruda” degli accadimenti. Nel suo sviluppo cronachistico, denso di documenti inediti, si svela – sono parole di Silvana Ardemagni Molteni che ha curato la presentazione – “quel clima di odio, di cieca violenza esercita da tutti i protagonisti, siano essi fascisti o antifascisti“. Alla violenza intollerabile, soverchiante e belluina del regime (viene in mente il mitragliamento del treno della Valle Seriana il 30 gennaio 1945 che procurò tra i civili 24 morti e 26 feriti), se ne sviluppa un’altra, dura ed efferata, anch’essa contro gente civile aliena da colpe, ma marchiata solo dalla diceria di un’attiva militanza fascista.


Osvaldo Gimondi li chiama “i tanti puntini neri” che costellano il libro. Elencarli non sminuisce l’eroismo e il sacrificio di tanti nostri partigiani mossi dall’ideale della libertà e della democrazia bensì ne amplifica e ne sedimenta il dovere della memoria se accostato alla prepotenza vile di esecuzioni arbitrarie perpetrate da altri compagni della Resistenza. Norberto Bobbio ci ricorda “che può esistere una liceità alla violenza che dipende dal fatto che in certe circostanze è l’unico rimedio“. “Opinione – replica Ardemagni Molteni – che non può, ne deve essere supinamente accettata ma tenuta nella considerazione che l’uomo non è solo un essere razionale, ma anche un animale e come tale i suoi comportamenti, purtroppo, subiscono deviazioni irrazionali“. Il 25 aprile a Bergamo ne è un esempio. Nonostante il Vescovo di Bergamo (il milanese Adriano Bernareggi) si fosse offerto di essere intermediario tra il Comitato di Liberazione e i capi fascisti affinché il passaggio avvenisse senza che gravi conseguenze ne venissero alla popolazione, alle donne, ai vecchi, ai bambini, agli inermi, “… il popolo – scrive Gimondi – era assetato di sangue e di sangue in quei giorni a venire ne fu versato a fiotti“.


Una giustizia arbitraria, gretta e personale abitò la città e le valli. Morti a Valtesse (testimoniati da Alessandro Masper) mentre in Valle Imagna, e precisamente a Sant’Omobono vengono giustiziati l’operaio Donghi Aristide e suo figlio Cesare di solo 18 anni dopo esser stato seviziato. Un sergente maggiore della Guardia Nera Repubblicana Leg. M Tagliamento di Pian Camuno, ricoverato all’ospedale di Lovere, fu prelevato dalla corsia e poi gettato nel lago d’Iseo. Ma uccisioni sommarie si verificarono anche al ponte di Trezzo, a Ponte Nossa, a Treviolo, a Gazzaniga, a Valgoglio… Sempre il 25 aprile a Bergamo, per un banale scambio di persona, viene giustiziato un insegnante. Un diario, quello di Osvaldo Gimondi, dedicato non solo agli specialisti e agli appassionati di Storia, bensì ad un vasto numero di lettori, che dai singoli episodi, possono trarre notizie oltremodo puntuali perché sono la voce di quanti hanno vissuto quella realtà e la cui esperienza viene così ben documentata.


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