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La radice leud della parola libertà rimanda ad una condizione sciolta da vincoli: libero da catene, imposizioni o costrizioni di ogni sorta, fisiche e psicologiche, esteriori come il carcerato o interne come il vizioso. Non è mai impedimento assoluto stante la nostra possibilità di autodeterminarci.  Resta sempre la facoltà di desiderare, vedere qualcosa di più di ciò che si ha davanti o ci si prospetta al momento, come allude la celebre tela del Viandante davanti al mare di nebbia di C. D. Friedrich: immaginare l’oltre. Certo restiamo determinati dalle leggi fisiche, legati ad un certo mondo, in un particolare momento storico.

Il mito platonico della caverna rimane esemplare nella descrizione del difficile processo di liberazione. Un uomo incatenato e bloccato nei movimenti, obbligato a vedere quel che il carceriere proietta, si forma una certa idea del mondo. Una volta liberato si rende conto della sua condizione di cattività, captivus o cattivo perché schiavo. Da quel momento inizia il cambiamento, la metanoia o conversione, che è dolorosa. Abituato al buio gli occhi sono accecati dalla luce del sole che invece è quello che ci fa vedere. Si abitua poco a poco e comincia a conoscere ciò che prima opinava. Sente la responsabilità di chi è nella grotta e torna per avvisarli. La discesa è altrettanto difficile, riabituarsi al buio e vincere l’ostinata convinzione dei fratelli prigionieri. Inutilmente come Socrate, anche lui messo a morte a bastonate. Amara conclusione di una verità che non paga.

Il messaggio è riproposto in chiave di fantascienza dal film Matrix in un colloquio che ricalca il dialogo di Gesù e Pilato sulla libertà. Si tratta di prendere una pillola rossa o quella blu, una che annega dubbi e ricerche, l’altra è scelta per capire cosa sta succedendo e di conseguenza chiama alla propria responsabilità. Non c’è oggetto che colmi il nostro desiderio, de sidera dalle stelle. L’uomo è piantato sulla terra ma ha la testa in cielo. E’ imago Dei, immagine di Dio: Michelangelo ha saputo rendere con la celebre Creazione questo rapporto con l’Assoluto: con gli indici che si toccano la scintilla di Dio passa al primo uomo, risveglia e responsabilizza, l’uomo è costruttore del proprio destino.

Siamo agli inizi di un’ennesima rivoluzione. Dopo quella meccanica di Watt, l’inventore della macchina a vapore, quella elettrica di Volta, colui che dà identità e ordine a forze fino a quel momento oscure e ritenute magiche – il testo iconico resta Frankenstein di Mary Shelley – la terza rivoluzione è il momento dei transistor e dell’automazione. E’ come avere i mattoni di base della realtà. Dal bit informativo fatto di 0 e 1, componiamo o scomponiamo a volontà informazioni e quindi oggetti. Finalmente con la quarta rivoluzione siamo nella cosiddetta intelligenza artificiale.

Attraverso un salto tecnologico facciamo dialogare le cose tra loro: lo smart frigor ci ragguaglia su ciò che manca, ci consiglia, magari ordina al negozio vicino o lontano secondo la celerità, la consegna, la qualità. Algoritmi che si riaggiustano in progress. Siamo nell’analogico e si esplorano le possibilità. Il digitale ha scelte chiuse, univoche, come il like o dilike; l’analogico è aperto, è una presa di distanza, riflette e valuta.

Tra l’essere di Parmenide che non sopporta il non essere, e l’essere di Eraclito sempre in divenire, è e non è, c’è la strada indicata da Aristotele: l’essere è ma in molti modi, in parte è e in parte non è. Resta agganciato all’esperienza senza perdere il rigore della razionalità. L’oggetto è uno ma non c’è predicato che lo esaurisca. Siamo situati ma non condannati all’insensatezza del cambiamento. In un mondo che muta viviamo nella continuità.


A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione del professor Giampaolo Ghilardi, Università Campus Biomedico Roma, “Libertà ai tempi del bit. Incontro o scontro?” del 19 gennaio 2021 nell’ambito della programmazione di Noesis).


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