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Nell’Atene intraprendente e dei commerci (VI secolo a.C.) si fa largo un’idea di libertà (eleuterìa) come situazione di città non sottomessa. Libera è la città indipendente da re e tiranni. Ma il mondo greco resta legato al concetto di destino, la Moira: ciò che accade, accade necessariamente, per una forza (anànke) che sovrasta le stesse divinità. E’ arrogante (ùbris) l’uomo, come Edipo, che tenta di opporsi.
Una credenza che è sostenuta dalla filosofia di Parmenide: l’essere è, il divenire è nulla. Inutilmente l’uomo sfugge a questa necessità. Saggio è l’uomo che si adegua – amor fati dirà Nietzsche – come spiega lo stoico Crisippo – con l’esempio del cane legato alla ruota. Se non tenta resistenza la sua vita procede senza pene, altrimenti verrà trascinato e ne soffrirà.

Si frappone a tale necessità l’idea di caso (tùke). La concezione materialista del cosmo secondo gli epicurei prevede un mondo costituito da atomi i quali nel loro movimento determinato possono deviare (clinamen), scontrarsi e dare corso casualmente ad altri mondi. In tale senso il caso supera il destino. Aristotele ammetterà l’essere accidentale; l’evento è qualcosa che capita e non si ripeterà più.
Platone sul tema della libertà cerca nel mito (mùthos) un soccorso alla ragione, come spesso fa. Qui con il mito di Er (Repubblica X). Er è un soldato della Panfilia, morto in battaglia, che dopo 12 giorni torna in vita e racconta ciò che ha visto negli Inferi. Racconta di voragini e del luogo di mezzo dove si incontrano morti recenti e morti che, una volta scontato il castigo o goduto del premio, dopo mille anni, ritornano in vita. Costoro dovevano camminare per quattro giorni fino ad arrivare in vista di un arcobaleno da cui pendeva un fuso, il fuso della dea Ananke, la necessità. Stava a loro scegliere il destino della prossima vita.

In fila si presentavano davanti alle tre Moire tra una sinfonia di suoni e di colori. Filando Lakesi, che cantava il passato, sorteggiava tra i modelli di vita scelti quello che sarebbe toccato all’anima. Ammoniva chi stava per reincarnarsi che la responsabilità era sua, relativamente alla scelta fatta. Cloto, che cantava il presente, confermava il destino assegnato e Atropo, colei che non può essere dissuasa, tagliava inesorabilmente il filo. Chi sbaglia incolpa la sorte o la necessità e non si rende conto della sua responsabilità. “La virtù (areté) è senza padrone (adéspoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile”. Er racconta che solitamente ognuno sceglie secondo quel che ha vissuto o quello che ha avuto modo di conoscere dagli altri.

Il prode Aiace aveva scelto una vita da leone, il re supremo Agamennone una vita di aquila, il brutto Perfite la vita di scimmia. Ulisse aveva preferito inaspettatamente la vita di un uomo qualunque (idiotes). Si è discusso sulla scelta di Ulisse. Per Giovanni Reale sarebbe una scelta saggia, viste le esperienze di travaglio e di dolore subito. Per Massimo Cacciari la scelta di Ulisse sarebbe rinunciataria, un segno di fallimento. Platone con il mito di Er ridà una certa responsabilità all’uomo, rompe il muro della necessità, apre uno spiraglio per la libertà umana. La scelta dipende anche dall’uomo che tende a scegliere modelli di vita conformi alla sua psiche e all’esperienza della vita trascorsa. Avvia comunque una riflessione che sarà ripresa e continuata più tardi dalla teologia e filosofia cristiana.


A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione dal professor Giuseppe Girgenti, “Libertà e destino: la sfida di Platone alla Moira” dell’11 dicembre 2020 nell’ambito della programmazione di Noesis).

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