Ci sono nostri conterranei che, credendosi illuminati dal sol dell’avvenire e anticipatori visionari, già pensano a come tradurre in conseguenze positive la tragica esperienza della pandemia, che ha portato solo conseguenze negative soprattutto nella nostra Bergamo. E’ un po’ lo spirito dei bergamaschi, praticoni, che si rialzano subito e cercano di ripartire meglio di prima con quello che hanno. Fa parte della religione laica del lavoro.
Non per forza roba degne di Peppone, della fabbrica, dello sviluppo, del lavoro contro il capitale e la rendita. Ma è una religione ben radicata, così tanto che la stessa Curia orobica fu in prima fila già alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo nella diffusione della dottrina sociale della Chiesa. La risposta di Leone XIII per intenderci alla diffusione del socialismo non ancora comunista e sovietico tra operai e contadini. Ma torniamo al punto senza divagare: non è un male di per sé questa cultura del molà mia, ma non basta. Anzi l’è mia assè.
Oltre all’homo faber è necessario guardarsi dentro e approfittare di questo momento così particolare per sfidare l’abitudine e iniziare un cammino più spirituale e meno materiale. Lo ha testimoniato bene il nostro Papa Francesco, da furbo gesuita quale è, che ha benedetto il mondo malato sotto la pioggia in una San Pietro deserta. Tutto il mondo lo guardava ma lui era solo. Pensateci, che immagine forte: non più la massa dietro una guida ma una guida solitaria che mostra la strada. Elias Canetti a questo non ci aveva mica pensato, ci voleva Bergoglio.
Della maggior parte dei nostri defunti di questi mesi non abbiamo neppure potuto celebrare l’estremo saluto, dopo l’improvvisa scomparsa. Comunque non possiamo ritrovarci per momenti di confronto, di riflessione, di preghiera comune. Tutto pare come rallentato e frazionato. E’ successo ma non l’abbiamo ancora fatto nostro. Pensiamo a cosa fare domani, ma ieri è ancora lì da decifrare. Prima di fare show e business sarà meglio che i Bergamaschi, persone quadrate come una prisma, si guardino dentro ed elaborino il lutto, personale e collettivo, della pandemia. Dopo, forse, si potrà pensare a come raccontare cosa sono stati i primi mesi del 2020 per i bergamaschi.
E se proprio avete bisogno di andare in un posto, raccontarlo, farvi il selfie, metterlo online, allora andate a dire una preghiera e ad accendere un cero al santo patrono della nostra città alla chiesa di Sant’Alessandro in Croce in via Pignolo alta. Fermatevi a pensare: una preghiera e un momento di raccoglimento valgono come e più di un monumento. Restiamo bergamaschi, restiamo seri!