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L’incontro in bibliosteria, a Ca’ Berizzi, con Claudio Gotti e Francesco Carminati, autori del volume “Amici comuni”, ha consentito ai presenti di cogliere alcune chiavi di lettura della ricerca, offrendo un generale inquadramento della società valligiana dalla fine della Repubblica veneta al dominio napoleonico.

Il pregevole studio si differenzia da altri testi sul noto “brigante” della Valle Brembana per il rigore scientifico che lo caratterizza e la mole di documenti prodotti e analizzati. La lettura del testo, scorrevole e curiosa, si sviluppa su due livelli lungo tutte le oltre settecento pagine che lo compongono: alla trascrizione dei brani documentali – l’apparato fondativo di una ricerca durata oltre dieci anni – si alternano riflessioni e argomentazioni utili per comprendere significati storici e nessi di riferimento.

I documenti, tratti dai diversi archivi consultati, conducono il lettore in un paziente itinerario esplorativo della società valligiana tra la fine del Settecento e i primi lustri dell’Ottocento, lungo il quale è possibile ricostruire momenti di vita civile e religiosa, cogliere fatti e situazioni connessi all’amministrazione della giustizia e al governo dei territori nei villaggi montani orobici, comprendere i principali fenomeni sociali ed economici che hanno caratterizzato la vita e il lavoro delle classi subalterne in un periodo attraversato da consistenti sommovimenti politici e difficili condizioni di sicurezza sociale. Banditismo e insorgenze, rivoluzioni e restaurazioni, cambi repentini di governo, ma anche crisi economiche, carestie e malattie endemiche, usura,… hanno reso assai difficile e pericolosa la vita e non meno precario il sostentamento delle famiglie rurali.

In questo contesto, così ampio di riferimenti sociali e economici, si colloca la parabola di vita di Vincenzo Pacchiana, che nel volume non viene mai “colorata” o descritta sulla base della tradizione popolare romanzata da Mosè Torricella e da una successiva bibliografia edulcorata. Anzi gli autori si chiedono come mai un simile personaggio continui ad essere indicato, ancora ai giorni nostri, quale eroe della Valle Brembana, una sorta di Robin Hood locale.

Una possibile risposta ce la offre il prof. Carlo Traini, noto cultore di storie patrie, attento conoscitore e promotore del folclore, delle tradizioni e delle leggende bergamasche, uomo probo originario della Valle Brembana e dall’indiscussa onestà intellettuale, nell’introduzione ad un fascicoletto inedito sul Pacì Paciana conservato presso il Centro Studi Valle Imagna, donatoci dal figlio, prof. Mario Traini (di entrambi onoriamo e conserviamo la cara memoria):

Il perché di un fatto per il quale la tradizione popolare trasforma un autentico malandrino in una specie di eroe della carità, bisogna cercarlo nella psicosi collettiva della gente di un’intera regione che, ribelle alla oppressione di un governo straniero, condensa in un tipo sui generis questo stesso senso di insofferenza in una fallace interpretazione di gesti e di parole che lo svisano completamente dalla realtà. La tradizione popolare descrive Vincenzo Pacchiana come un filantropo, un protettore e difensore dei poveri, mentre non era che un ladro e un assassino, un bandito senza legge e senza scrupoli”.

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Antonio Carminati

Direttore del Centro Studi Valle Imagna

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