13-16 gennaio 1985, chi c’era non l’ha dimenticata, “la nevicata del secolo” è rimasta nell’immaginario come un evento speciale, eccezionale, di quelli da esser fieri a poter dire “Io c’ero”. Un’ondata di freddo e neve salita da Sud verso Nord, prima ha paralizzato Roma, col Nord a criticare il fermo di Roma lazzarona (non era ancora ladrona), poi toccò a Milano essere completamente paralizzata sotto quasi 1 metro di neve, col sindaco Tognoli a subire la “vendetta” dell’omologo romano Vetere.
Milano divenne l’epicentro della nevicata e della storia, la città che non si ferma mai, che aspetta il sabato “per uccidere”, si è fermata, bloccata da oltre 72 ore di neve ininterrotta e copiosa, una settimana bianca fuori programma a favore di tutti, anche di quelli che non si potevano permettere quella vera. Io c’ero, stavo proprio a Milano, chiuso in casa o nelle aule semivuote del Politecnico, ho visto la città ferma e muta passare dal technicolor al monochrome sotto i cristalli bianchi che non si fermavano più. Ho visto cittadini con gli sci da fondo racchettare lungo le vie della metropoli, ho visto la città dei businessman trasformarsi in parco giochi per bambini e adulti ritornati bambini, ho visto passeggeri scendere a spingere gli autobus bloccati nella neve. Nevicò talmente tanto che crollarono diversi tetti, i più famosi quelli del Vigorelli e dell’avveniristico “Palazzone di San Siro”, appena nato e già privato dell’avvenire, subito demolito: al Politecnico, dallo studio degli effetti del vento sui ponti, si ripiegò subito sull’apparentemente più banale effetto della neve sui tetti, certificato dalla modifica della relativa normativa.
Era l’Italia del pentapartito con il vecchio socialista Pertini Presidente della Repubblica e il giovane socialista Craxi Presidente del Consiglio, in Vaticano c’era il Papa polacco chiamato a dare una mano contro il socialismo reale sovietico. Era l’Italia del riflusso, i giovani avevano abbandonato l’impegno per il divertimento, il sociale per l’individualismo, la piazza per le discoteche, le tribune elettorali per il Drive-In del paninaro e di Has-Fidanken, il Guccini per i Righeira, l’appartenenza di classe per il riconoscimento in status symbol come l’abbronzatura da lampada solare, il Parco Lambro per Cortina, Pasolini per i Vanzina, con tanto di rima, il quarantotto, il sessantotto, la pitrentotto, sulla spiaggia di capocotta (Cartier Cardin Guccini), nun te reggae più. Del decennio precedente era rimasto il passamontagna, ma con funzioni completamente diverse, andava in coppia coi moon boot ma poi ognuno restava solo, “in fondo perso dentro i fatti suoi”.
A quei tempi il meteo era appannaggio esclusivo dell’aeronautica dei rigorosi colonnelli, e veniva annunciato in TV dalla foto di un barometro accompagnata da un jingle musicale con trillo ascendente, mentre in studio campeggiava la cartina statica delle misteriose isobare sullo stivale e dintorni: il colonnello Andrea Baroni aveva preso il posto del mitico Bernacca, l’aperitivo a base di carciofo contro il logorio della vita moderna stava per cedere il posto all’amaro della Milano da bere, e l’Aeronautica militare rendeva onore al suo “Ufficio Presagi” (si chiamava proprio così), un nome che era tutto un programma e che più che una scienza ricordava l’Ufficio Facce da Milan messo su qualche anno prima da Beppe Viola e Jannacci al bar Gattullo in Porta Ludovica. Oggi invece il meteo ce l’hai a portata di mano, ogni luogo è agganciato H24 a satelliti artificiali che navigano nello spazio in orbita geostazionaria, sincrona con quella terrestre, che tramite “semplici” app ci inviano le previsioni costantemente aggiornate in tempo reale in tutto “il globo teraqueo”, e guai se sbagliano, pena l’accusa di procurato allarme o la richiesta di risarcimento danni: satelliti che, oltre al meteo, ci danno la connessione internet e ci danno informazioni su tutto, filmano, misurano, indicano le rotte e i tempi delle nostre auto, delle navi, degli aerei, delle navicelle spaziali che devono raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale (ISS, è l’unico posto in cui le potenze mondiali convivono e collaborano -finora…- senza farsi la guerra), dirigono droni che portano aiuti ma solo dopo aver portato armi, possono spiare ovunque e chiunque, ci influenzano più di quanto possiamo immaginare, condizionano i governi, dettano i tempi della politica.
Sopra le nostre teste è in atto una vera e propria colonizzazione e militarizzazione dello spazio con il rischio di guerre stellari per il dominio dello spazio cosmico, un Antropocene spaziale in cui tra gli attori principali vi sono dei gigacapitalisti privati, monopolisti esentasse che con alta probabilità e in un futuro molto prossimo, saranno loro a scrivere le leggi degli stati “sovrani”. Al momento si stima che ci siano circa 15.000 satelliti artificiali in orbita (stima per difetto, spesso i satelliti-spia militari non sono comunicati, e il solo Musk, che ne ha lanciati circa 7.000 vuole arrivare a 42.000 entro il 2030), di cui solo circa 5-6.000 ancora funzionanti. Gli altri sono ferraglia inutilizzata che i satelliti in buona salute devono schivare per evitare collisioni e finire anch’essi tra la spazzatura nello spazio, migliaia di satelliti che hanno finito le riserve di propellente e quindi sono stati “decommissionati” e portati in orbita “di cimitero” in attesa della discesa a terra con conseguente disintegrazione nell’atmosfera. E siamo in attesa dell’intelligenza artificiale e dell’internet quantistico…
Una volta guardavamo in alto per vedere le stelle cadenti a San Lorenzo, e la neve in inverno, e magari ci prendevamo per mano ed esprimevamo un desiderio, ora guardiamo in alto e possiamo vedere dei satelliti artificiali, oppure delle collisioni e dei satelliti cadenti, sperando che non ci arrivino in testa. Fermate il mondo, voglio scendere a spingere l’autobus bloccato nella grande nevicata.