Da quando l’Italia è tornata, quasi completamente, in zona rossa una delle circostanze che più sta mettendo alla prova la vita delle famiglie ha un nome ben preciso: DAD. Dal punto di vista comunicativo proprio questo termine è uno dei più diffusi sui social arrivando, sui vari motori di ricerca, secondo solo alla parola Covid 19 e, comunque, prima di Vaccino Astrazeneca; in sostanza, quindi, siamo di fronte ad uno dei tratti distintivi del periodo storico che stiamo vivendo.
I dati maggiormente diffusi nella varie pubblicazioni hanno come focus principale quello della sofferenza dei bambini e dei ragazzi. Ma cosa emergerebbe se, invece, ad essere divulgati fossero i dati relativi ai genitori? Emergerebbero situazioni di dinamiche familiari inimmaginabili fino a qualche anno fa. Alzi la mano, ad esempio, chi lavorando in smartworking non abbia fatto esperienza di essere rimproverato dalla prole per aver avuto un tono di voce troppo alto durante una riunione cosi da infastidire il figlio e/o la figlia impegnati in DAD. A parte questa situazione, che si configura comunque come quella meno critica dal punto di vista sociologico, in realtà mamme e papà sono realmente assoggettati ad una notevole pressione.
Chiediamo a Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e supervisore clinico della Start Up Unobravo di aiutarci a capire cosa sta accadendo.
Partendo dalla vostra esperienza clinica; qual è la situazione psicologica in cui si trovano i genitori italiani alle prese con le restrizioni e, nello specifico, con le conseguenze legate alla DAD?
Sicuramente le restrizioni stanno mettendo a dura prova tutti. Quello che crea più disagio è, senza dubbio, il perdurare di questa situazione in cui ci sentiamo impotenti e costretti a vivere momenti di grande solitudine e frustrazione. Molte famiglie si trovano a convivere in spazi ristretti, dovendo mettere in atto strategie di condivisione degli spazi che comportano uno stress notevole. Parlando di DAD, uno dei problemi più comuni riguarda la necessità di conciliare la presenza dei figli in casa con le attività dei genitori, a loro volta in smart working o impegnati nella gestione familiare. L’esigenza di dare spazio ai bisogni dei figli, che spesso vanno anche sostenuti concretamente dal punto di vista digitale, è sicuramente prioritaria per qualsiasi genitore ma si scontra con la necessità di portare a termine i propri impegni. Considerando anche l’assenza di distrazioni, valvole di sfogo e spazi personali, il burnout è dietro l’angolo.
Spesso la posizione che emerge dai colloqui tra genitori si può riassumere con “resistere, resistere, resistere”; c’è qualche altra possibilità?
Questa strategia ha funzionato certamente per un periodo iniziale, ma non può essere efficace a lungo termine. Quello che proviamo ad incoraggiare con la terapia è il mantenimento, per quanto possibile, di spazi propri. Non si tratta di inseguire chissà quali momenti di libertà, ma di non rinunciare alle piccole cose: una telefonata con un amico, un bel film, una chiacchierata o una risata con chi vive con noi. Tirare il respiro non può essere l’unica opzione. È importante riuscire a ritagliarsi sempre il proprio spazio di “vita”. Soprattutto quando sentiamo che tutto ci sovrasta e diventa faticoso da gestire. Alcuni nostri pazienti hanno dovuto spesso rinunciare a qualche seduta per la presenza di altre persone in casa, per il troppo da fare. Altri invece continuano a sperimentare soluzioni creative: facciamo sedute nei parchi, in auto, in luoghi insoliti dell’appartamento! Fa sorridere, ma evidenzia la voglia di non rinunciare al proprio spazio, alla propria “ora d’aria” e per noi questo è un fattore assolutamente incoraggiante rispetto alla volontà di resistere, di essere resilienti.
Le più provate da questa situazione sono sicuramente le donne: quali consigli si sente di rivolgere direttamente a loro?”
Con rammarico devo confermare che ancora troppo spesso il peso della quotidianità domestica finisce per gravare sulle donne. In molti casi questo è sicuramente un retaggio superato e i compiti familiari risultano equamente divisi tra i membri della famiglia. Ancora troppo spesso, però le donne finiscono per dover fare passi indietro, riempendosi le giornate senza tener conto di ciò che possono sopportare o rinunciando a prendersi cura di se stesse. Mi sento di dire, però, che se questo accade non bisogna esitare a esprimere il proprio disagio o, qualora ciò dovesse essere difficile, per qualsiasi ragione, a chiedere l’aiuto di un esperto. La famiglia non deve mai diventare una gabbia, ma continuare ad essere un guscio in cui trovare comprensione e affettività. Ritrovare questo equilibrio relazionale è molto importante per mantenere il benessere personale. Per questo in Unobravo, cerchiamo di proporre percorsi sostenibili, flessibili e di facile accesso per il paziente che spesso chiede aiuto con fatica. Per noi è essenziale che tutti possano intraprendere percorsi psicologici, sempre e da qualsiasi luogo. Crediamo molto nell’efficacia della terapia psicologica per riscoprire nuove strategie per superare momenti difficili o anche solo per fare scelte di vita che siano in linea con il nostro sentire più autentico.
Leggi anche: Dad e key workers. L’intervista all’assessore Alessandra Locatelli