Dicono che era il più grande di tutti, il numero uno, l’essenza del calcio, genio e sregolatezza. Per carità, la tecnica con cui Diego Armando Maradona trattava il pallone era di primissimo livello. Ricordiamo tutti il gol da centrocampo all’Inghilterra a Messico 86, le punizioni da posizione impossibile a togliere le ragnatele dall’ incrocio dei pali, ma il palmares è abbastanza scarno rispetto a molti altri campioni. Nel dettaglio: due campionati col Napoli, una Coppa Italia e una Coppa Uefa e il mondiale a Messico 86. In Coppa dei campioni non si va oltre il primo turno, su 4 partecipazioni mondiali una vittoria, un secondo posto, una squalifica per cocaica, e un altro finito anzitempo per un intervento da kick boxing.
Ma al giorno d’oggi va di moda acclamare gli eroi maledetti pieni di eccessi, che fanno parlare i rotocalchi e fanno aumentare le tirature dei giornali. Abbiamo pietà per il capitolo cocaina e varie e derivati che da sempre hanno scandito la sua carriera. Maradona ha fatto più parlare di sé fuori dal campo che nel campo. Ci limitiamo a dire che c’è chi ha partecipato a 4 mondiali e ne ha vinti 3, senza dare spettacolo da circo e con un’autorevolezza in campo e fuori che il pibe de oro non sa, dispiace dirlo, nemmeno cosa sia.
Da due giorni TV, giornali, social network sono incentrati nell’acclamare in maniera quasi liturgica la figura di un calciatore che ha da sempre deciso di sfruttare non più del 30% del proprio talento tecnico, per dedicarsi a tutti i piaceri della vita per i quali solo una parte ristretta di persone può avere accesso. Si parla di eroe maledetto, di uomo del popolo contro il sistema imperialistico di comando. Andate a dirlo ai tifosi del Milan che persero uno scudetto per lo scandalo della monetina capitato proprio a Bergamo. Andate a dirlo agli inglesi che ai mondiali del 86 vennero eliminati da un gol di mano. Oppure quando ci ha accusato di aver messo le palline calde nel sorteggio dei gironi di Italia 90.
Andatelo a dire a Messi oppure a Ronaldo che sono venuti dopo di lui, e per arrivare dove sono arrivati si allenavano il doppio degli altri, perché sapevano che il talento va coltivato e rispettato e non usato come leva per dribblare le regole della società civile.